Ogni cosa che esiste prima non esisteva e ad un certo punto cesserà di esistere. Fra la sua apparizione e la sua sparizione, diviene incessantemente. Ma se prima c’erano e poi non ci saranno più, le cose sono veramente? I primi filosofi greci cominciarono a filosofare per rispondere proprio a questa domanda. In generale, non riuscirono a comporre in una visione unitaria il concetto di essere e il concetto di divenire: per gli uni esisteva solo l’essere, per gli altri solo il divenire. E nacque così una specie di “controversia” sull’essere e sul divenire, da cui scaturì, come da un Big Bang, l’intero universo del pensiero filosofico occidentale, con le sue mille galassie.

Per tagliare corto, nel tredicesimo secolo san Tommaso d’Aquino, seguendo Aristotele, dimostrò che essere e divenire non erano necessariamente in contraddizione. Nella sua visione l’incessante divenire delle cose (“enti”) coincide con l’incessante passaggio dell’essere delle cose stesse dalla potenza all’atto. Passando dalla potenza all’atto una cosa diventa sempre più pienamente sé stessa. Ad esempio, il seme ha dentro “in potenza” una pianta, così come il monozigote ha dentro “in potenza” l’uomo adulto. Quando il primo diviene pianta e il secondo diviene uomo, il seme e il monozigote passano dalla potenza all’atto.

Evoluzionismo cristiano

Per comodità, il divenire di una cosa dalla potenza all’atto possiamo chiamarlo “evoluzione”, depurando questa parola da ogni residuo tossico di darwinismo. Se infatti per noi il concetto di evoluzione presuppone un finalismo (in quanto la potenza ha un fine ab origine: diventare atto) invece per Darwin e i darwinisti l’evoluzione è un divenire casuale, insensato e privo di finalità che tuttavia, casualmente e insensatamente, tende ad un fine, che è il costante miglioramento della specie (non mi addentro ulteriormente nella selva dei divertenti paradossi del pensiero darwiniano). Naturalmente, il processo di evoluzione dalla potenza all’atto non esclude deviazioni, passi indietro e anche degenerazioni. Il peccato originale ha precisamene introdotto in ogni cosa che esiste quel processo di degenerazione che culmina nella sparizione finale della cosa stessa. Ma il processo di corruzione degli enti può esistere proprio perché esiste anche il processo contrario di crescita ed evoluzione degli enti stessi. In breve, solo ciò che all’inizio non è corrotto può corrompersi. Una rosa fresca può appassire, una rosa già completamente appassita no. Il nulla è incorruttibile.

Di sola tradizione si muore

Da nostro punto di vista, se non si evolve si muore. Il seme e il monozigote non possono restare sé stessi se non divenendo rispettivamente pianta e uomo. Se, paradossalmente, si cercasse di farli restare quello che sono, si guasterebbero e infine morirebbero (oggi abbiamo potuto verificare, tristemente, che gli embrioni congelati non sopravvivono). Ebbene, anche i fenomeni del pensiero umano sono soggetti alla legge della costante evoluzione intesa come passaggio dalla potenza all’atto. La filosofia, il pensiero scientifico, la tecnologia eccetera se non evolvono, cominciano a guastarsi. Per quanto possa sembrare scandaloso, anche la tradizione cattolica se non evolve degenera. Come la pianta era contenuta intera nel seme, e come l’uomo adulto era contenuto intero nel monozigote, così la tradizione nella sua (infinita) interezza è già contenuta nel seme del Vangelo. La tradizione non aggiunge nulla al Vangelo, semplicemente rende palese di volta in volta ognuna delle infinite (è il caso di dire infinite) conseguenze pratiche del Vangelo, che spuntano una dopo l’altra, come foglie su un ramo, sotto la luce mutevole e palpitante della storia. Per fare un solo esempio, una bioetica basata sul Vangelo ha potuto essere elaborata solo nel momento in cui sono nati i problemi della bioetica. Prima dell’introduzione delle tecnologie che permettono la sopravvivenza dei pazienti in coma e delle tecniche della fecondazione assistita e perfino della clonazione, nessuno si poneva neppure il problema della bioetica.

Come la tradizione, anche l’esperienza individuale di fede evolve continuamente, passando dalla potenza all’atto. Nella sua concreta esistenza quotidiana, il fedele non finisce mai di capire chi è Cristo, di imparare a fare il cristiano, di crescere. In altri termini, non finisce mai di essere sorpreso e stupito dal Mistero di Cristo, che nelle circostanze della vita si presenta in forme sempre diverse, spiazzandolo. Gli stessi discepoli non hanno mai “capito tutto” di Cristo una volta per tutte. Infatti, nel Vangelo è ripetuto più volte “credettero in lui”. In sostanza, essi “credettero in lui” dopo avergli già creduto più volte in precedenti occasioni. Evidentemente, non finivano mai di credere, e ogni volta credevano un poco di più.

Come nascono i “progressisti” e i “tradizionalisti”

A causa dei limiti degli uomini che fanno parte della Chiesa, anche la tradizione tende inevitabilmente ad incorporare di volta in volta qualche errore. Ebbene nel processo di evoluzione, la tradizione si purga di volta in volta proprio di questi errori storicamente determinati, che ostacolano l’evoluzione stessa. Fra i tanti errori del passato, si annoverano soprattutto una concezione negativa della donna, che derivava da una tradizione pre-evangelica, pagana e farisaica, e una eccessiva devozione all’istituto monarchico. Purtroppo oggi molti cattolici tradizionalisti sono ancora devoti alla visione sostanzialmente anti-evangelica della donna come “maschio mancato” (“mas occasionatus”) ed “Eva tentatrice” senza senno e senza intelligenza. Costoro devono fare molta fatica a spiegarsi Hildegarda di Bingen ed Edith Stein.

La tradizione non può restare se stessa senza divenire e non può divenire senza restare sé stessa. Ma come i filosofi pre-aristotelici, anche i cattolici hanno qualche difficoltà a conciliare il concetto di essere e quello di divenire. Per quanto riguarda la tradizione, gli uni la intendono come puro essere immutabile mentre gli altri la intendono come puro divenire. Nel concreto, i “progressisti” pensano che la tradizione debba continuamente trasformarsi, non per divenire più sé stessa ma per divenire sempre meno sé stessa e sempre più simile al pensiero del mondo. Per gli altri, invece, la tradizione è data una volta per tutte e non si può aggiungervi nessun corollario e nessuna correzione senza corromperla.

Credo che la fallacia del cattolicesimo progressista sia chiara a tutti, e quindi non mi soffermerò su di essa. Invece vale la pena esaminare l’errore contrario e uguale, che oggi gode di molto prestigio: il tradizionalismo cattolico. Per andare subito al sodo, ogni tradizionalismo all’interno della Chiesa infligge al corpo vivo della tradizione delle paralisi non meno devastanti delle insensate convulsioni progressiste. In effetti, atteggiamenti tradizionalisti sono sempre esistiti all’interno della Chiesa. I più famosi tradizionalisti della storia sono stati quanti si pretendevano discepoli fedeli di sant’Agostino. Questi esasperarono l’enfasi di Agostino sull’impotenza dell’uomo di fronte alla onniscienza di Dio, approdando ad un pessimismo radicale verso le possibilità di conoscenza dell’uomo (rinnegando Agostino medesimo). Ma per grazia di Dio, la tradizione fu rinnovata e vivificata da un antidoto potentissimo a questi veleni: il pensiero di Tommaso d’Aquino, che esaltò la ragione umana ad un livello probabilmente non più raggiunto nella storia (vedi su questo numero di Pepe, il mio articolo su Fede e Ragione, per i dettagli su questa contrapposizione, che perdura ancora oggi nella storia).

La ragione di Domenico e il cuore di Francesco

Ma Tommaso non fu l’unico rivoluzionario del suo secolo. Mentre Tommaso combatteva contro gli agostiniani, alcuni monaci uscivano dai conventi e incontravano i laici nella vita quotidiana, divenendo frati. Noi oggi fatichiamo a capire quale scandalo potesse suscitare a quei tempi un monaco che usciva dal monastero e si mescolava ai mendicanti divenendo egli stesso “mendicante” (si parla infatti di “ordini mendicanti”). Sembra incredibile, eppure il placido Dottore Angelico e i miti fraticelli di san Domenico e di san Francesco apparvero ai tradizionalisti del tredicesimo secolo come dei pericolosi sovversivi, tesi a distruggere non solo l’ordine sociale ma anche la tradizione. In realtà, la fecero maturare. Infatti, sia il razionalismo di Tommaso sia lo spirito missionario dei frati erano contenuti fin dall’inizio nel Vangelo. Cristo e i suoi discepoli uscivano infatti per le strade ad incontrare la gente, come i frati. E Cristo valorizzava l’esperienza dei sensi, ridando la vista ai ciechi, e cercava di sollecitare l’uso della ragione, raccontando parabole ai suoi ascoltatori.

Anche nella storia recente, come nei secoli passati, si sono succeduti errori e parzialità nel percorso evolutivo della tradizione. In breve, negli anni Sessanta e Settanta i catto-progressisti, forzando alcune affermazioni del Concilio Vaticano II, cercano di distruggere la tradizione per adeguarla alle ideologie dominanti, in particolare al marxismo, favorendo la nascita di semi-eresie come la teologia della liberazione.

Benedetto XVI rimette la ragione alla base della fede

Per rimediare ai loro errori e fare “ordine”, arrivano prima Giovanni Paolo II e poi soprattutto Benedetto XVI. Quest’ultimo in particolare si è dedicato con scrupolo di vecchio professore a ristabilire alcune eterne verità. Contro la riduzione dell’amore ad un sentimento acritico, buono per giustificare ogni peccato (capita ancora di incontrare cattolici che non trovano molto di sbagliato nel matrimonio omosessuale in quanto, a loro dire, “l’importante è l’amore”), Benedetto XVI ribadisce che l’amore deve adeguarsi alla legge naturale. Contro la fede ridotta in maniera protestante a mero sentimento, Benedetto XVI rimette la ragione alla base della fede. Contro la riduzione della carità ad un mero pragmatismo sociale, che finisce per fondersi e confondersi col welfare statale basato sulla “ridistribuzione della ricchezza” (che Antonio Rosmini interpretava come una mostruosa “carità coatta”), Benedetto XVI ribadisce che la carità non è un pragmatismo ma è una virtù teologale da cui scaturisce anche, come conseguenza, un “pragmatismo”, che in ogni caso non deve mai confondersi con la “carità coatta” del welfare.

Dunque Benedetto XVI assesta un duro colpo ai catto-progressisti. Esultando per la sconfitta degli eterni avversari, i tradizionalisti alzano la testa: “Il papa ha dato ragione a noi! Ha liquidato l’eredità satanica del Concilio Vaticano II!”. In realtà Benedetto XVI non ha rimosso un errore per esaltare l’errore opposto. Nello specifico, non ha liquidato il Concilio Vaticano II ma lo ha semplicemente ripulito dalle cattive interpretazioni progressiste.

Ora che i progressisti sono stati “puniti”, resta da “punire” i tradizionalisti, che tuttora, nonostante la lezione impartita loro da Ratzinger, si ostinano ad aborrire non soltanto l’ultimo concilio ma la modernità tutta, sognando altari incollati ai troni e donne segregate in casa. E a quel punto è arrivato dall’altra parte del mondo Francesco I, che non a caso appare immediatamente come “Anticristo” a tradizionalisti e affini. Il loro odio verso papa Bergoglio è pari soltanto alla risolutezza con cui papa Bergoglio mette la tradizione al riparo dal tradizionalismo, riaffermando la validità del Concilio Vaticano II: «Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi» (Antonio Spadaro, “La Chiesa, l’uomo, le sue ferite: l’intervista a Papa Francesco”, Civiltà Cattolica, 19 settembre 2013).

Papa Francesco pone la misericordia divina al centro di tutto

Inoltre, fra gli ultimi due papi c’è un vero e proprio rapporto di complementarietà. Se Raatzinger poneva l’accento sulla legge naturale, invece Bergoglio poneva l’accento sulla misericordia divina. Secondo consolidati luoghi comuni mondani, la misericordia annullerebbe la necessità di rispettare la legge ossia di non commettere peccato. In realtà, la misericordia non annulla il concetto di peccato né ne sminuisce la gravità. Nello stesso momento in cui esalta la misericordia, Bergoglio invita insistentemente i fedeli ad avvicinarsi al sacramento della confessione. Insomma, papa Francesco è tanto lontano dalla cupezza tradizionalista quanto dal buonismo progressista.

Se Benedetto XVI aveva stabilito che la carità non ha niente a che fare con il welfare statale, Bergoglio puntualizza che comunque dalla carità devono scaturire delle concrete azioni, che non possono non avere anche una portata sociale. Sicuramente Bergoglio sembra condizionato da qualche pregiudizio marxista di troppo, che lo porta a credere seriamente che i paesi ricchi sfrutterebbero i paesi poveri (vedi approfondimento sulla visione sociale di papa Francesco su questo numero di Pepe). Ma per quanto siano infondati e deleteri questi pregiudizi (che in ogni caso appartengono all’uomo Bergoglio, non al Pontefice Francesco), Papa Bergoglio non contraddice minimamente l’insegnamento di Cristo quando ci invita a soccorrere attivamente gli stranieri che mettono a repentaglio la vita pur di raggiungere le nostre coste.

I due papi, uniti come intelletto e amore

Papa Francesco è un papa molto poco “formale”: non solo preferisce abitare in un modesto convento invece che nei sacri palazzi, ma si lascia volentieri sfuggire di bocca espressioni prosaiche come “buongiorno”, “buonasera” e perfino “buon pranzo”. Gira voce che qualche notte vada in giro per Roma vestito da semplice prete a incontrare i barboni. Molti osservatori trovano inammissibile che un Papa si mostri così “alla mano”: “Bergoglio ha tolto ogni sacralità alla figura del Papa!”. Lascio ad altri di discutere sul concetto di sacralità pontificia. Noto soltanto che oggi papa Francesco mostra di avere lo stesso spirito anti-conformista che avevano i frati francescani e domenicani nel tredicesimo secolo. Come questi ultimi uscivano dai conventi per incontrare i laici, così Bergoglio “esce” dai sacri palazzi e cerca un rapporto diretto, quasi colloquiale, con i fedeli. Insomma, Bergoglio ha qualcosa dei grandi “rivoluzionari” del passato.

In conclusione, fra papa Benedetto XVI e Francesco I c’è una profonda continuità. C’è anche lo stesso rapporto di complementarietà che nel tredicesimo secolo c’era fra san Tommaso, il santo dell’intelletto, e san Francesco, il santo dell’amore. D’altra parte, esaminando la sua biografia si scopre che Tommaso, frate domenicano, aveva molto in comune con Francesco d’Assisi: non solo stimava l’umiltà, soprattutto quella intellettuale, come la suprema virtù, ma aveva una predilezione assoluta per i poveri e gli ultimi (fin da bambino aveva maturato l’abitudine, invisa ai ricchi genitori, di dare tutto quello che aveva con sé ai mendicanti che incontrava per strada). Evidentemente, nel cristiano l’amore per il puro ragionamento non solo non esclude ma nutre l’amore per il prossimo. Nel nostro secolo, Ratzinger è venuto a ricordarci che l’amore ha bisogno della ragione per non corrompersi in un sentimentalismo che è pretesto di ogni delitto. Bergoglio è venuto a ricordarci che la ragione senza l’amore inaridisce. San Tommaso argomentava: il lavoro manuale serve a nutrire il corpo affinché la mente possa dedicarsi alle attività intellettuali, le attività intellettuali servono ad avvicinare l’anima all’amore di Dio. Quando l’amore di Dio viene direttamente sperimentato, le attività intellettuali cessano. Poco prima di morire san Tommaso disse della sua immensa opera: «Sicut palea mihi videtur», “mi sembra solo paglia”…

2 Commenti

  1. Noto soltanto che oggi papa Francesco mostra di avere lo stesso spirito anti-conformista che avevano i frati francescani e domenicani nel tredicesimo secolo.

    Deve essere lo stesso “spirito” che lo induce a incontrare il noto benefattore eschimese Soros.

  2. Wojtyla-Ratzinger-Bergoglio non hanno nulla di nulla che possa anche solo lontanamente definirsi Cristiano Cattolici. Non sono che dei giudei marrani molto mal acconciati da Credenti in Gesù Veramente Uomo e Veramente Dio. Per questi 3 figuri il Vecchio Testamento, la Legge Veterotestamentaria restano pienamente vigenti. Peccato per loro che Tutto il Vangelo e Tutto il Nuovo Testamento affermino perentoriamente l’opposto. Gentili e Giudei, per essere Salvi in Eterno è assolutamente indispensabile professare Gesù Cristo Quale Unico Salvatore dell’Umanità, venire Battezzati nel Nome Trinitario e professare nella Santa Chiesa Cattolica la Fede rivelata da Cristo, credere in Cristo Solo. Fuori di Tutto Questo a nessuno è dato di meritare la Eterna Salvazione. Il giudeo Wojtyla, gli ipergiudaizzanti Ratzinger e Bergoglio hanno negato e negano ripetutamente Questa Realtà. Sono Apostati, Eretici, Traditori e Rinnegati. Patetico il pseudovescovo, pseudoprete e pseudocattolico Carlo Maria Viganò che si appella al massone eretico e pedofilo Donald Trump come ad un ” uomo della Provvidenza” contro i ” figli delle Tenebre”. Come se l’ex-presidente federale SUA non fosse autorevolissimo esponente di quel retro-stato che da più di un anno è esecutore dei piani satanici delle elites economico-finanziarie giudee e giudaizzante che hanno imposto col pretesto di una epidemia fra le tante la peggior tirannide liberticida che la storia del mondo abbia mai conosciuto. La imbecillità e la cretinaggine della piuparte del conservatorismo ( liberista, islamofobo, giudaizzato e ultra-sionista) sedicente ” cattolico” e, sulla sua scorta, del presuntissimo ” tradizionalismo” pure ” cattolico” costituiscono il Cavallo di Troia del giudaismo deicida anticattolico, calvinista e globalista-globalizzato, dentro la Santa Chiesa, ed è l’altra faccia di una stessa moneta che attraverso progressismo ” liberal” da un lato e ” tradizionalismo” teocon dall’altro è l’arma finale con cui Satana tenta l’impossibile ben sapendo che è impossibile, ma la sua volontà inchiodata nel Male non può farne a meno: l’assalto alla Chiesa Cattolica per danneggiarla il più possibile, non potendo distruggerla.

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