Se vi è capitato in questi giorni di vedere in tv vari personaggi accapigliarsi più del solito, allora, probabilmente, l’argomento della trasmissione in questione era l’ormai famoso “ddl Zan”. Ebbene, sarà impopolare dirlo, ma stavolta il sacro fuoco della discussione è perfettamente comprensibile, perché tra le righe di questa potenziale legge si nasconde (ma nemmeno troppo come vedremo) un cambiamento enorme e dalle conseguenze potenzialmente devastanti per la concezione dell’umano e della società futura.

Andiamo allora al cuore della legge, per provare a farcene un ragionevole giudizio. Diciamo subito che il compito è molto più facile del previsto se uno prende un po’ di coraggio e va a leggersi direttamente il testo della medesima, in particolare i primi 2 articoli, che recitano come segue.

L’articolo 2 dice in sintesi che la legge Zan vuole estendere i reati legati al razzismo anche ai “motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale”.

L’articolo 1 chiarisce che la nuova discriminazione punita dalla legge riguarderà l’«identità di genere», ovvero «l’identificazione percepita di sé (…) anche se non corrispondente al sesso» (dove per “sesso” si deve intendere il dato di realtà per cui uno è uomo o donna).

Bene, a questo punto basta sommare i due articoli di cui sopra per aver chiaro il succo della legge: introdurre nella legislazione il principio per cui i “nuovi razzisti” saranno coloro che negheranno il principio dell’“identità di genere” e vorranno ostinarsi ad affermare il reale, ovvero l’evidenza dell’uomo e della donna, del maschile e del femminile, del padre e della madre. E difatti la Chiesa Italiana pone esattamente questo problema quando afferma, nella sua Nota del 28 aprile, che «una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna».

Così se passasse questo principio su cui si fonda il ddl Zan, in futuro, ad un bambino di 10 anni che percepisse anche solo il dubbio di avere un’identità femminile, bisognerà bloccare con un farmaco (la triptorelina) la sua pubertà per molti anni; poi, se dopo i vari ripensamenti confermerà questa sua decisione, da grande bisognerà consentirgli il matrimonio con un uomo (o con più uomini, se l’identità percepita vale davvero per tutti); poi si dovrà permettergli di avere un figlio (acquistandolo da una madre bisognosa di soldi, non avendo egli un utero) per dargli davvero gli stessi diritti di una donna; e infine costringere questo bimbo a non avere mai una madre perché così hanno deciso i suoi genitori.

Chiaro, tutto questo non è scritto nel ddl Zan, ma è altrettanto evidente che in essa è contenuto il principio che renderà reali tutte queste conseguenze, come del resto già accade ora, sotto i nostri occhi, nei paesi in cui si è affermata per legge l’identità di genere.

Si affermerebbe insomma una sorta – non trovo altre definizioni – di “totalitarismo dolce”, per la prima volta nella storia democratica del nostro paese: infatti, come è avvenuto finora solo nelle dittature, potrà essere punito chi vorrà semplicemente affermare un’evidenza della realtà e cioè, in questo caso, che una persona non è solo ciò che percepisce di essere, ma è originariamente, nel suo essere più profondo, un uomo o una donna. Un pensiero unico che, tra l’altro, è già in atto, se si considera – ma è solo un esempio tra i tanti – a quale potentissima censura mediatica è sottoposto tutto il movimento composto da quelle persone (penso ad esempio a Luca Di Tolve) che affermano di essere usciti dalla condizione omosessuale.

Sottolineiamo in ogni caso un punto importante, per evitare ogni sorta di equivoco: il cuore della legge Zan non è la (sacrosanta) protezione di ogni essere umano – qualsiasi sia la sua percezione e il suo desiderio – dalla violenza, anche verbale. Questa tutela esiste già nell’ordinamento vigente e infatti i difensori della legge non sanno indicare neppure un solo singolo caso in cui l’odio verso una persona omosessuale (o con altra identità) sia stato trascurato dalla giustizia per colpa della legge attuale.

Ma, se anche volessimo prendere per buona l’intenzione dell’onorevole Zan di difendere le persone LGBT dalla violenza, il metodo della legge sarebbe assolutamente sproporzionato: portando il discorso all’estremo del paradosso, sarebbe come dire che per proteggere dalla violenza una persona che si sente di essere Napoleone, io accusassi di follia chi dice il contrario (e il paragone non è così azzardato se anche papa Francesco – che di certo non può essere accusato di odio verso le diversità – ha definito la teoria dell’identità di genere come uno «sbaglio della mente umana»).

Insomma, se qualcuno ha una percezione della propria identità diversa dalla sua realtà di uomo e di donna, perché mai dovrebbe essere giusto convincerlo che questa verità – essere uomo, essere donna – è insignificante, che in fondo non esiste? E perché, per di più, estendere questo velenosissimo dubbio a tutti gli uomini, educandoli fin da bambini a scuola (come prevede il ddl Zan) all’identità di genere, ovvero al fatto che non sono maschi o femmine, ma quel che si sentono di essere (ad oggi si contano 56 generi sessuali “riconosciuti”, ma il numero va crescendo)? E perché, ancor peggio, punire chi afferma il contrario?

L’onorevole Zan, in risposta a queste critiche, ha introdotto nel testo un “riconoscimento della libertà di espressione” (confermando tra l’altro che un problema al riguardo esiste), ma lasciando in fin dei conti ai giudici il compito di decidere se punire o no quello che comunque nella legge viene definito – ricordiamolo – come un “nuovo razzismo”.

Rimane una domanda, forse la più importante: dato che la protezione alle persone di qualsiasi orientamento evidentemente non manca, perché tutto questo?

Da cristiani, possiamo tentare un giudizio più profondo legato alle motivazioni ultime che nella storia stanno portando a definire leggi come questa. In particolare si può intravedere in questo tentativo di dominio sull’origine stessa dell’umano una manifestazione nuova di quel peccato d’origine per cui l’uomo volle farsi creatore del bene e del male, essere Dio. Negare la realtà dell’uomo e della donna e ridefinirla secondo la propria libertà resa assoluta e totale padrona di sé, al di là del bene e del male: insomma, altro che estendere diritti, qui c’è in ballo qualcosa di molto più profondo e potenzialmente tremendo.

Pensiamoci. Sul serio.

 

[Pubblicato su “Il Risveglio Popolare“]

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