Ma la libertà non è l’unico attore sulla scena. In particolare, la Scrittura ci ricorda l’esistenza di tre elementi invisibili e decisivi, come aiuto a comprendere la nostra condizione ambigua, ferita: il mondo, il demonio, la colpa d’origine.

Di seguito, vediamo come Maggiolini ripresenta questi fattori della tradizione quali punti chiave per uscire dalla tragedia dell’”uomo senza peccato” suo contemporaneo.

1. Il mondo: un’ambiguità

La domanda di partenza: il mondo è una realtà da abbracciare o da cui guardarsi?  La risposta non è scontata. In ambito cristiano, si è parlato moltissimo di mondo, sia nel passato che negli ultimi anni: tutt’altro che un elemento invisibile e dimenticato, dunque. La questione è, però, il “come” se ne è discusso: anticamente, magari, ‹‹ con cipiglio, mettendo in guardia dalle “seduzioni” e dalle “pompe”››[1]; mentre, ‹‹ oggi se ne discorre con scioltezza, se non con volto radioso ››[2].

Con il Cristianesimo abbiamo una novità al riguardo: avendo pietà dell’uomo che sta soffocando nel nulla da lui evocato, il Figlio di Dio entra in persona proprio nel mondo, decretandone insieme la “salvezza” e la “sconfitta”. Con Cristo, si manifesta il vero scopo del mondo, ciò per cui esso è stato fatto. Ma c’è una parte oscura: il mondo in quanto tale ‹‹ non lo riconobbe ››[3] e per quest’ultimo Cristo ‹‹ non prega ››[4]. Dunque, bisogna abbracciare il mondo o no? Sì, riassume Maggiolini, ma fino in fondo, ovvero amandolo nella sua luce vera, che è Cristo; e tenendo conto che la libertà può resisterGli.  

Alla fine, sintetizza l’autore senza fronzoli, o sono fedele a Dio o al mondo: questo salva la vita come “dramma”. O amo il mondo (in quanto tale) o amo in modo immediato e totale ‹‹ Cristo, che stacca dal mondo per inserire nel cuore del mondo richiamando i valori risolutivi e la finalità ultima di tutti e di tutto ››[5].

2. Sul Demonio, per non dimenticare

Qual è il motivo di aggiungere il Diavolo a questo discorso? In che cosa può spiegare meglio l’avventura dell’uomo? Come sempre, Maggiolini ricorre all’esperienza della libertà in azione e si domanda se davvero – non “l’uomo” in astratto – ma “io”, tu” saremmo capaci, qui e ora, di decidere lucidamente per quella negazione del  proprio destino infinito in cui consiste il “peccato”. O se invece non sia più accettabile, più verosimile, una libertà umana che arriva a quel terribile “no” – specialmente quello del primo peccato – seguendo (sempre colpevolmente, certo) un “cattivo maestro”, ovvero un’altra libertà che ha scelto contro Dio in modo assoluto e che precede l’uomo. Insomma, senza il Maligno, la libertà di negare Dio ci appare come un ‹‹ monstrum ››, un assurdo troppo grande per l’uomo concreto. Così, l’affermazione dell’esistenza del Demonio pare essere un elemento decisivo per riconoscere fino in fondo la gravità del peccato e accettare che la nostra libertà possa compierlo. Come scrive Maggiolini, ‹‹ esaltare eccessivamente la libertà umana, isolarla da ogni influsso subìto, separarla da ogni seduzione esercitata su di essa (…) è ancora un modo sottile di negarla. (…) Il male primordiale da cui l’uomo dipende diviene allora una condizione disperata che è “già là”: che non si può attribuire a Dio, ma nemmeno si può addossare totalmente all’uomo ››[6]. In questo modo, la concezione dell’esistenza finisce con il coincidere o con un facile ottimismo – per cui il male non è troppo grave e ce ne si può liberare con le sole forze umane, magari con un progresso “sociale” – o con un fatalismo disperato – per cui l’uomo è totalmente in balia del giudizio di Dio, non può far nulla di fronte alla Sua onnipotenza. In altre parole, il dramma della libertà umana peccatrice davanti a Dio viene ancora una volta evitato azzerando uno dei due fattori, “Dio” o “l’uomo”: o assegnando all’uomo la possibilità di risolvere la “facile” questione (“è l’uomo che fa tutto”) o assegnando a un potere superiore (denominato come Dio) l’intera responsabilità (“è il divino che fa tutto”) di una soluzione “impossibile”.

3. La colpa d’origine e noi

Abbiamo detto che l’esistenza del Maligno aiuta a capire meglio la condizione umana, in quanto aiuta a rendere più accettabile che l’uomo abbia commesso il primo peccato. Ma quest’ultimo rimane comunque un mistero, non di rado trattato alla stregua di una favola o, comunque, di metafora inventata per spiegare questioni complicate della psiche umana. Eppure, rovesciando il discorso – come il testo ci ha abituato a vedere più di una volta – o si ammette la realtà vera del peccato originale o si dovrà considerare l’uomo come uno “spettatore ingenuo” del male che lo circonda e che è parte di sé. Il peccato originale è, insomma, nel quadro maggioliniano, tutt’altro che un oscuro senso di colpa che incatena l’uomo, ma anzi è proprio quell’elemento ultimo che salva la libertà umana, rendendola protagonista piena della sua storia e non diminuendo al contempo la realtà del male.

La controprova si ha, comunque, solo attraverso un giudizio leale sulla propria esperienza, in cui si trova conferma dell’esistenza di qualcosa di “tremendo”, che San Paolo descrive con le note parole: ‹‹ Io non riesco a capire neppure ciò che faccio (…). Infatti, io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio ››[7].

Ogni tentativo di ridurre il peccato originale, fa notare Maggiolini, non rende conto di questa esperienza e diminuisce la responsabilità umana. Così, ad esempio, se il peccato originale è ridotto al semplice “limite intrinseco dell’uomo”, il male diventa la creazione stessa e l’uomo un burattino innocente di essa. Oppure, se è ridotto al semplice peccato personale di ogni singolo uomo, non rende conto della situazione concreta, reale di invincibilità del male che ciascuno sente come esperienza elementare; per non parlare di quei mali, concreti, visibilissimi che sono la sofferenza e la morte, che hanno bisogno di una spiegazione che non si può trovare né in Dio (che non può volere il male) né nel ‹‹ baratro assurdo del nulla ››.

In sintesi, si può dire – con l’aiuto della Rivelazione cristiana – che il peccato originale è quello stato dell’uomo – in cui viene a trovarsi per una misteriosa responsabilità originaria – che esprime l’impossibilità di compimento con le sue proprie forze, senza Cristo. In fondo, il vero “scandalo” – afferma Maggiolini, a rischio di essere frainteso – non è il peccato originale, ma la realtà di Cristo stesso, che è incomprensibile senza la colpa d’origine e che insieme la spiega perfettamente e la supera.

Ricapitolando, il quadro in cui si svolge il “dramma” dell’uomo è stato delineato: la libertà umana è ‹‹inizio dell’agire responsabile ››, ma non è isolata. Sul palcoscenico giocano la libertà di Dio, assoluta, e quella dell’uomo, condizionata dall’influenza del mondo dove è all’opera la libertà del Maligno e la forza della colpa primitiva.

Il peccato è solo la “penultima” parola

Per Maggiolini, il peccato si svela davvero, a tu per tu, non tanto con il Dio lontano, ma con Cristo sulla croce. Qui, si tocca con commozione e anche spavento, la consistenza reale della propria libertà ferita. ‹‹ Atterrisce – dolcemente atterrisce – il sentirsi creati e salvati per un amore immisurabile a cui non si può rispondere in modo adeguato ››[8]. Davanti a ‹‹ colui che si abbandona al Padre “facendosi peccato” per i nostri peccati ››[9], cogliamo la nostra dimenticanza più grande: quella di essere fatti per lui, di aspirare ad un amore così[10].

Il peccato quindi è sempre “penultima” parola di fronte al Dio della grazia che perdona, di fronte al Crocifisso Risorto. Solo il Dio di Gesù Cristo è capace di tenere desto e sciogliere il dramma. E, paradossalmente, proprio attraverso Cristo il peccato assume anche una dimensione comunitaria: andando contro Cristo si va contro l’unità vera degli uomini, contro il destino di bene che li unisce, e ci si chiude in un isolamento disperante.

Alla fine, il dramma della nostra libertà ferita dal peccato (originale e non) ci fa riscoprire il senso della realtà di Cristo. E il legame tra libertà, peccato e Cristo è talmente forte che Maggiolini arriva a dire che la ‹‹ libertà (…) in qualche modo “ha bisogno” di tradire per amare senza costrizione ››[11]. Ma, non si tratta di un discorso chiuso, perché è proprio il mistero di Cristo che esige ‹‹ che la meditazione rimanga aperta, perché ciascuno la continui nel segreto del cuore, applicandola a sé››[12].

[Fine seconda parte del documento Così un vescovo difese la “sconfitta totale” dell’uomo / 1 ]

Note:

[1] A. MAGGIOLINI, Apologia del peccato, Mondadori, Milano 1983, p. 83.

[2] Ibidem, p. 83.

[3] Gv 1,10

[4] Gv 17,9

[5] A. Maggiolini, Apologia del peccato, Mondadori, Milano 1983, p. 132.

[6] Ibidem, p. 145.

[7] Romani 7,15.17-19

[8] A. Maggiolini, Apologia del peccato, Mondadori, Milano 1983, p. 232.

[9] Ibidem, p. 224.

[10] Come in tutta l’opera, il riferimento è all’uomo in generale, al suo peccato inteso come condizione esistenziale e non come “problema del singolo”. Viene quindi lasciato in secondo piano, ad esempio, il cammino concreto del riconoscimento della colpa, della richiesta di perdono, del sacramento della Riconciliazione: temi, questi, che saranno affrontati nel testo Mi pento con tutto il cuore del medesimo autore.

[11] Ibidem, p. 250.

[12] Ibidem, p. 251.

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