L’Isis sta consolidando le proprie posizioni in Libia con l’aiuto di miliziani provenienti da diversi stati, tra cui la Nigeria. Il 24 agosto il governo di quel paese ha informato gli Stati Uniti e altre nazioni che Boko Haram, il gruppo jihadista attivo nel nord est nigeriano, ha mandato in Libia più di 200 combattenti ben equipaggiati con l’incarico di aiutare l’Isis a estendere il proprio controllo da Sirte al resto del paese. Molti altri terroristi Boko Haram si appresterebbero a seguirli.

Intervistato il 31 agosto dalla Jamestown Foundation, l’esperto nigeriano di antiterrorismo Jacob Zenn ha confermato la notizia spiegando: “l’apertura delle rotte migratorie dalla Nigeria attraverso il Niger orientale fino alla Libia ha reso il viaggio di questi combattenti piuttosto semplice e l’Isis può facilmente permettersi di pagare i trafficanti per portare militanti e armi lungo questa rotta”.

Il 1° settembre, sul quotidiano La Stampa, il giornalista Maurizio Molinari commentava a sua volta: “È la prima volta che si ha notizia di un trasferimento di miliziani dalla Nigeria alla Libia per sostenere le operazioni di Isis e ciò lascia intendere che l’adesione al Califfo da parte di Boko Haram sta portando ad una cooperazione militare, probabilmente grazie al controllo delle rotte del Sahara attraverso il Niger. Fonti militari americane affermano che la tattica di Isis è operare in Libia controllando aree costiere e punti di confine nel deserto al fine di gestire traffici illeciti di uomini e merci da cui trarre ingenti profitti”.

Il controllo della Libia ha inoltre per l’Isis un importante funzione strategica in quanto base da cui colpire l’Europa. Lo sostiene tra gli altri, in una intervista rilasciata al portale nigeriano di informazione Naji.com il 29 agosto, Vincent Pollard, ex comandante di una unità di polizia antiterrorismo: “mentre sempre nuovi terroristi si riversano nel paese per sostenere l’Isis, i suoi leader si vantano sui social media dicendo che useranno la loro vittoria in Libia per invadere l’Italia e attaccare il Vaticano”.

Proclami bellicosi compaiono in effetti da tempo su internet accompagnati da immagini che mostrano ad esempio la nera bandiera dell’Isis sventolare sul Vaticano e i simboli religiosi cristiani rimpiazzati da quelli islamici. Non c’è motivo di ignorarli o di non prenderli sul serio. 

“Jihad Watch”, il portale del David Horowitz Freedom Center, ha pubblicato il 6 settembre un articolo di Aaron Brown che riporta le dichiarazioni di una fonte, protetta da anonimato, secondo cui non solo l’Isis ormai partecipa con profitto al traffico di esseri umani attraverso il Mediterraneo, ma se ne servirebbe per far arrivare in Europa i propri miliziani, mescolati agli emigranti e ai profughi. Sarebbero già più di 4.000 i combattenti trasferiti in Europa in questo modo.

Le informazioni anonime richiedono verifiche. Quelle rivolte all’Europa e al Vaticano per ora sono soltanto minacce. Invece è una certezza il ruolo che l’Africa ha assunto in pochi anni come terra di insediamento e di reclutamento di jihadisti. Già negli anni ’90, ma soprattutto dopo l’11 settembre, sono nati nei paesi del nord Africa e della fascia di territorio sottostante, dalla Mauritania a ovest alla Somalia a est, gruppi legati ad al Qaida, alcuni dei quali ora affiliati all’Isis. In breve si è assistito al loro moltiplicarsi, al formarsi di reti transnazionali di cellule jihadiste e al loro intrecciarsi in modo sempre più fitto e temibile con gruppi antigovernativi armati, con trafficanti di droga, armi, esseri umani, avorio.

Programmi militari e di intelligence per arginare il fenomeno sono stati avviati fin dal 2002-2003 quando gli Stati Uniti hanno varato la Pan Sahel Initiative e la East Africa Counterterrorism Initiative, due progetti che hanno visto il coinvolgimento iniziale di dieci stati africani.

L’altro fronte di lotta è stata la cooperazione allo sviluppo: programmi per centinaia di miliardi di dollari per modernizzare paesi arretrati e fare delle loro risorse naturali un volano di crescita economica e sviluppo umano, togliendo ai terroristi gli argomenti – povertà, ingiustizie, malgoverno… – con cui reclutano nuove leve nelle città sature di gente risentita e delusa.

Non è bastato. Molti gli errori, ma più di tutto ha contato la negligenza delle classi politiche africane troppo contaminate da corruzione e tribalismo per concepire il potere se non come opportunità di arricchimento e soddisfazione di ambizioni sfrenate. Così un nuovo problema si è aggiunto a quelli storici, e in gran parte irrisolti, del continente africano.

 

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