Oggi si insedia il nuovo governo e già si annuncia l’ennesima “rivoluzione”, all’insegna della ribellione alle caste europee. Ma tutte le rivoluzioni portano con sé lo stesso antico difetto: dirigere tutto dall’alto. Mentre l’esigenza più grande è liberare le forze buone del paese dalle grinfie dello Stato.       

L’Italia, con questo governo “anti-casta” si sente al centro di una rivoluzione. E questo è già un male. Infatti noi non abbiamo bisogno di una rivoluzione. Nessuno ha bisogno di una rivoluzione.

E’ un’illusione tragica pensare che dall’Italia possano dipendere i destini dell’Europa intera. Chi dice “se usciamo noi dall’euro, l’eurozona muore”, forse dimentica che la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel, appena un anno fa, sdoganava il concetto di un’Europa “a più velocità”, cioè con monete differenti e diversi gradi di integrazione. Se lo pensava e lo diceva, evidentemente, non vedeva come un pericolo mortale l’uscita dall’euro dei paesi mediterranei, Italia inclusa. Ancora prima dell’introduzione della valuta unica, la Germania a guida democristiana era sempre stata dell’idea di limitare l’integrazione monetaria e finanziaria ad una “kernEuropa”, il nocciolo duro dell’Europa, quello con i conti pubblici in ordine, dunque Germania, forse la Francia (più allora che oggi) e paesi del centro-Nord. In pratica, se uscissimo potrebbe anche non succedere nulla nel resto del continente. Anzi, potremmo anche fare un favore a chi vuol sbarazzarsi di partner scomodi e ingombranti.

Questo dubbio dovrebbe almeno insinuarsi nella mente di tutti coloro che pensano che “siamo troppo grandi per fallire”, che abbondano fra i sostenitori di questo nuovo governo. Alcuni lo vivono addirittura come forma di inconfessato ricatto: guardate che facciamo saltare tutto, quindi dovete darci più soldi. Ma se è vero che siamo troppo grandi per fallire, è anche vero che siamo troppo grandi per essere aiutati. In caso di crisi dell’Italia, potrebbero non esistere risorse sufficienti a sanare la nostra economia.

Quindi potremmo essere lasciati fallire, perché il costo del salvataggio potrebbe essere troppo alto. E il prezzo del fallimento lo pagheremmo tutto noi. In ogni caso, il fallimento dello Stato, non deve essere mai (e poi mai) vissuto come una opzione percorribile, tantomeno come una sorta di distruzione creativa. Chiedete ai russi o agli argentini o ai venezuelani cosa vuol dire vivere in uno Stato fallito, senza stipendio, senza pensione, senza servizi, con una moneta che diventa carta straccia.

In compenso, a noi conviene uscire dall’euro? Anche qui, attenti a non mitizzare troppo: l’uscita dall’euro, in sé, può avere un esito migliore o peggiore, a seconda di quel che si fa dopo l’euro. L’euro, infatti, è solo una moneta. Non ci si arricchisce o impoverisce a causa della valuta, ma a seconda di come la usa. Ci sono paesi che non hanno mai avuto l’euro e finora sono andati bene (il Regno Unito, o anche la Polonia), altri che hanno l’euro e vanno male (la Grecia), paesi che hanno l’euro e vanno bene (la Germania, ma anche l’Estonia nel suo piccolo), paesi che non hanno l’euro e sono poveri (la Bulgaria, per fare l’esempio più eclatante).

Quindi non dipende dall’euro se le cose vanno bene o male. Dipende dalla politica economica. Gli Stati che lasciano i loro cittadini liberi di produrre e creare ricchezza sono migliori di quelli che costringono i loro cittadini a obbedire ai loro rigidi piani economici. Noi purtroppo apparteniamo a questa seconda categoria. Nonostante l’alternanza dei vari governi, noi abbiamo uno degli Stati più dirigisti d’Europa, mai riformato e apparentemente irriformabile. Abbiamo uno Stato che non fa altro che trasferire ricchezza dalle mani dei privati a quelle del pubblico e punisce chiunque provi a far profitto. Il prossimo governo non farà eccezione. Tanto per fare un esempio, Di Maio, nuovo ministro del Lavoro, promette già malissimo impegnandosi nella “lotta alla delocalizzazione”: di fatto vuole impedire la fuga dall’Italia di quegli imprenditori che non trovano più modo di lavorare e produrre sotto questo regime fiscale. Invece di agevolare le condizioni di lavoro, ci costringerà a rimanere dentro questo inferno burocratico.

L’Italia ha bisogno di tornare a vivere, non di una rivoluzione. Ha bisogno di un fisco più leggero, di uno Stato che si levi dai piedi e ci lasci lavorare, di una legge più semplice e veramente uguale per tutti. Nessuno dei governi che si sono alternati finora ha mai voluto affrontare queste riforme. Attribuendo tutta la nostra miseria all’euro, hanno trovato un modo pratico e comodo per discolparsi. Se la nostra nuova classe dirigente riuscisse realmente a staccarci dall’euro, a riportarci la lira, comportandosi allo stesso modo dei governi precedenti, se non peggio, scopriremmo sulla nostra pelle una tragica verità: saremo poveri senza una lira in tasca, invece che esserlo senza un euro in tasca.

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