Come è possibile lasciare tutto, vivere per anni nel mistero intimo di Gesù e poi tradirlo? Nel suo romanzo ‘Il mio nome è Giuda’, Cammilleri va al cuore del dramma dell’apostolo, fino a quel punto profondo e segreto della libertà in cui ci si gioca tutto davanti a Cristo.

Uno dei misteri più oscuri della storia, forse il più oscuro, riguarda Giuda. Perché tradisce Gesù e lo vende al Sinedrio? E perché alla fine si suicida? Bisogna calarsi nella psiche di quest’uomo e cercare di capire come mai segue Gesù per tre anni, così vicino da diventare uno dei suoi più stretti collaboratori, uno dei Dodici. Che cos’è che gli fa cambiare idea, almeno da un certo momento in poi? Qual è stato questo momento? Che cosa voleva ottenere col suo tradimento? Che cos’è che lo ha deluso di Gesù e che cosa lo ha deluso del Sinedrio, tanto da decidere di togliersi la vita? In questo (*) romanzo storico l’autore si mette nei panni del protagonista, che infatti parla in prima persona e racconta la sua storia.

Un’indagine che ripercorre i Vangeli dal suo punto di vista, basandosi su una rigorosa documentazione storica. Si immagina, con una certa fondatezza, che Giuda sia stato per così dire consacrato fin dall’infanzia al Messia. Suo padre, notabile di Keriot, ha calcolato i tempi della profezia di Daniele (le «settanta settimane») e ha concluso che l’avvento del Messia è vicino. Giuda, perciò, viene fatto studiare con i migliori maestri perché il suo compito, quando il Messia si manifesterà, deve essere quello di affiancarlo e, possibilmente, di entrare a far parte della sua corte. In effetti, le «settanta settimane» di Daniele scadono giusto in quegli anni e in tutto Israele –ma anche nella diaspora- c’è fermento. Giuda cresce ben compreso nel suo compito, e la ricerca del Messia in lui diventa quasi un’ossessione. Il giovane Giuda rifiuta anche ogni offerta di matrimonio, perché vuole che sia il Messia stesso a scegliere una moglie per lui quando verrà il tempo e la sua gloria sarà realizzata.

Giuda immagina, come tutti gli ebrei, un Messia politico, un condottiero che libererà Israele dall’occupazione romana e farà sì che tutti i popoli gli divengano tributari. Questo, generazioni e generazioni di rabbini hanno dedotto dalle Scritture e dalle profezie. Gli insegnamenti, stratificandosi e sedimentandosi, hanno finito col costruire un Messia «militare» che in non pochi casi, data la scadenza delle «settanta settimane», ha fatto spuntare sedicenti Messia, capipopolo che hanno sollevato bande di fanatici. Alcuni di essi hanno promesso miracoli strepitosi, che però non si sono verificati. E la repressione romana, implacabile, ha spento ogni velleità messianica nel sangue e nelle crocifissioni. Giuda stesso rimane vittima di uno di questi inganni: un auto-designatosi Messia che conduce i suoi seguaci a un disastro da cui Giuda scampa a stento. Lo ritroviamo allora discepolo di Giovanni il Battista, che però dichiara di non essere il Messia.

Quando il Battista indica Gesù di Nazareth come «agnello di Dio», Giuda si mette alla sequela di quest’ultimo. Che però si comporta stranamente. Se è il Messia, lo è solo in senso religioso, non politico, e questo spiazza Giuda. Non solo. Molti degli atteggiamenti di Gesù gli sembrano contraddittori, a partire dalle provocazioni sul sabato nei confronti dei farisei, la cui dottrina, semmai, è, tra tutte le scuole ebraiche, la più vicina all’insegnamento del Nazareno.

E poi, Gesù non ammette mai di essere il Messia, cosa che, al contrario, fa tranquillamente con gli eretici samaritani. Molte cose non tornano nel comportamento di Gesù e Giuda oscilla continuamente tra l’entusiasmo e il disinganno. Come può fare a uscire dall’angosciosa impasse nella quale, dopo tre anni di sequela, continua a dibattersi? Giuda è l’unico giudeo dei Dodici, gli altri sono tutti galilei (e i galilei sono piuttosto disprezzati in Israele). E anche il solo che abbia studiato: anzi, nella vita non ha fatto altro, mentre gli altri apostoli sono pescatori, artigiani, esattori. I suoi dubbi, dunque, vengono da una mente complessa: per gli altri è più facile adeguarsi, anche se pure loro ogni tanto restano sbigottiti dalle parole e dai gesti di Gesù.

Giuda, alla fine, non trova che una soluzione: far esaminare Gesù dal Sinedrio. Il Sinedrio è la massima autorità religiosa: al di sopra di esso, in Israele, c’è solo l’Altissimo. Certo, è composto da gente non di rado discutibile, frammista a integerrimi maestri. Ma il Sommo Sacerdote, quando è in seduta solenne, parla per bocca di Dio. Per questo Giuda prende la sua decisione: sarà il Sinedrio a giudicare la dottrina di Gesù e a proclamare, se del caso, che è lui il Messia. Se davvero lo è.

Purtroppo, a cose fatte, Giuda si rende conto che il Sinedrio aveva una sentenza già scritta, e che lui ne è stato l’inconsapevole burattino.

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