Avrebbe compiuto un secolo. E un secolo sembra passato dalla sua epoca.
Anche noi, che l’abbiamo veduto, sembriamo avere dimenticato.
Volevano chiamarlo Magno, ma oggi a stento viene nominato; talvolta per denigrarlo, a volte con imbarazzo, oppure per strumentalizzarlo. Così siamo fatti noi uomini.

Veniva da un paese per noi lontano, aveva un nome che intrecciava la lingua. Era uno del popolo, che aveva lavorato, che aveva visto da vicino nazismo prima e comunismo poi, e anche quell’altra ideologia ancora più insidiosa che vuole trasformare ogni cosa in nulla. Forse neanche un’ideologia, solo un nuovo trucco di un antico Nemico. La Chiesa sembrava essere destinata a soccombere, di fronte a tali avversari; parevano non potessero essere fermati. Una congrega di vecchi, destinati all’irrilevanza: così appariva a tutti. Pochi, pochissimi, osavano ancora proclamare pubblicamente un credo così fuori moda.

Arrivò lui, cambiò tutto. Molti indicano in lui il fattore determinante per la caduta del comunismo sovietico, e va bene, d’accordo. Ma quello era un albero marcio, corrotto al suo stesso interno; l’errore si autodistrugge. No, per me fu altro il dono che portò. Fu ben altro il suo merito. Che fu il far vedere che il cattolicesimo non era un affare di vecchi; non era una credenza basata sulla paura; non era qualcosa di moribondo, morto, sepolto, ma una vita la cui forza era sufficiente a erompere da qualsiasi sepolcro si fosse tentata di infilarla.

Valorizzò la gioventù, la forza, la bellezza; mostrò che Nietzsche aveva torto, Stalin aveva torto, che tutti gli innumerevoli profeti di falsi e muti dei erano in errore. E non lo fece con la persuasione, con belle parole, con gesti ad effetto; oh, ci furono, ma non erano che la conseguenza dell’unica cosa che lui mostrava, cioè la Verità, e quella Verità era Cristo. Lo splendore del vero, che illuminava tutto, toglieva le paure, spalancava le porte di mille prigioni e rendeva liberi. Univa il carisma e la simpatia umana con doti artistiche, intellettuali, teologiche fuori dal comune. Anche queste, però, erano come illuminate dall’interno da una fede enorme, che non si arrotolava su se stessa ma erompeva a cambiare il mondo.

Non ci voleva grande sensibilità a capire che si era davanti non solo a una persona eccezionale, ma a tanto di più: un santo. Quando la malattia colpì, quando quelle doti vennero meno, era ciò che rimaneva evidente.

Ovviamente, fu combattuto. Non poteva essere altrimenti. Ricordo bene le beffe e le calunnie. E quei colpi di pistola. Oh, sì, quel maggio, quel giorno di Nostra Signora di Fatima in piazza S. Pietro; se tutto non finì quel giorno lo potremmo chiamare caso, o forse protezione soprannaturale da parte di quella Signora a cui era tanto affezionato. I colpi di pistola sono il meno; sono ben altre le armi in campo contro la Chiesa. Ce ne stiamo rendendo conto ora, con gli anni che passano più veloci dello sfogliare delle pagine del Vangelo sulla sua bara, il giorno dei funerali.

Dove sono finiti tutti quei giovani? Dov’è finita quella Chiesa che sapeva parlare di Cristo al mondo, che anche i potenti temevano? Dove sono tutto coloro che lo applaudivano?

Dov’è finita la verità?

E’ difficile vederla; sembra impossibile, in questa oscurità. Ma

«anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani. Non lasciate che quella speranza muoia! Scommettete la vostra vita su di essa! Noi non siamo la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti; al contrario, siamo la somma dell’amore del Padre per noi e della nostra reale capacità di divenire l’immagine del Figlio suo. Là, tra gli uomini, è la casa di Cristo, che chiede a voi di asciugare, in suo nome, ogni lacrima e di ricordare a chi si sente solo che nessuno è mai solo se ripone in Lui la propria speranza» (Karol Wojtyla, San Giovanni Paolo II, 18 Maggio 1920 – 2 aprile 2005)

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