(EPA/YARA NARDI / POOL)

Molti di noi avranno visto, qualche sera fa, il Papa a San Pietro, un puntolino bianco nell’immensa piazza vuota. Anche l’interno della basilica, pur con i suoi marmi e i suoi ori, appariva gigantesca e desolata; come se, privata delle folle che sempre la popolano, non fosse che un guscio sì prezioso, ma rinsecchito e freddo.

Niente si muoveva, solo i gabbiani predatori, ombre pallide, il baluginio delle ambulanze in lontananza, la pioggia che strisciava giù per le braccia dell’antico crocefisso. I telecronisti cercavano di riempire il vuoto con delle chiacchiere. Eppure proprio quel silenzio, quella solitudine, era il richiamo più potente.

Perché era il silenzio dell’Orto degli Ulivi; il silenzio del Golgotha. Quando sembra che Dio non ci ascolti più, anzi, che sia assente. Che le nostre parole cadano nel vuoto, in un vuoto cattivo che ti guarda con l’occhio del predatore che scruta l’animale isolato dal branco. Quando sembra che il cielo ci abbia lasciato da soli.

Perché, amici, vi siete addormentati quando vi avevo chiesto di stare svegli assieme  a me? Perché mi avete tradito, siete fuggiti quando avevo più bisogno di voi? Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

La giustizia fuggita dal mondo, l’innocente che muore. Tutto sembra perduto. Dovremmo sapere, però, come va avanti la storia. Dovremmo sapere cosa c’è dopo. Eppure, tante volte non ci basta. Tanto sembra impossibile. Oh, tranquilli, non v’ingannate: è impossibile. Però accadrà lo stesso, perché la realtà non è quello che ci immaginiamo debba essere.

Dipende tutto dal nostro non capire come stanno davvero le cose. La nostra visione è limitata; non potrebbe essere altrimenti, siamo solo uomini. Finiti, stupidi, ciechi e lenti a capire. Sempre lì a chiedere il miracolo, e incapaci di vederlo mentre accade. A lamentarci di un silenzio e di una solitudine che non ci sono.

Il rapporto con Cristo, con il Mistero, non è una solitudine. E’ una compagnia in cui talvolta ci sembra di stare da soli, ma non è mai così.

Siamo uomini, siamo carne e spirito. Abbiamo bisogno della carne, abbiamo bisogno di poter vedere, toccare, gustare ciò che desideriamo. Abbiamo bisogno dello spirito, perché la materia da sola non può soddisfare ciò che la nostra mente brama.

E’ il motivo per cui Dio stesso si è fatto uomo; per farsi vedere, toccare, gustare. E’ il motivo per cui un idolo, di legno, gesso o carne, non può essere sufficiente: occorre qualcuno che ci parli con parole che spiegano la vita.

Quel Dio incarnato continua ad essere in mezzo a noi tramite una storia ininterrotta, da venti secoli. Una compagnia fisica, e spirituale; con tutti i suoi difetti e i suoi tradimenti, ma nondimeno c’è. E’ un contatto con ciò che non si vede e non si tocca; un evento ineliminabile.

Possiamo odiarlo. Possiamo anche non volerlo, possiamo anche rifiutarne l’essenza, ma la realtà è questa: non possiamo negare che ci sia, perché non è una nostra idea, non è una nostra illusione, non è un pensiero confinato nella nostra testa.

Rimaniamo soli soltanto se guardiamo dall’altro lato. Ma sappiamo che voltandoci indietro continueremmo a vederlo. Sta a noi farsi toccare: il cambiamento arriva solo se si appartiene a quella storia. Se si decide di lasciarla entrare attraverso la nostra corazza di solitudine, cioè deciderne di farne parte.

Certo, ci addormenteremo, tradiremo, fuggiremo. Sono tutte cose che già si sanno, già sono in conto. E’ per questo che abbiamo bisogno di un punto solido, di un ancoraggio. Per questo abbiamo bisogno gli uni degli altri. Poiché la mente sfugge, e quindi ci si richiama a vicenda. Si testimonia a chi ci sta accanto cosa sia la realtà. Si fa memoria di quello che è accaduto, perché non sia dimenticato. Questa è la compagnia di quelli che camminano verso il destino.

L’altra sera, durante il rosario online per un amico sacerdote defunto, contemplavo le centinaia di caselline colorate sullo schermo del computer, ognuna con all’interno uno o più volti. Alcuni sconosciuti, altri conosciuti; persone con cui ho parlato da poco, altre che non vedevo da anni. Ognuno con la sua storia, ma ognuno dentro la stessa storia, insieme.

Quelle facce in tutte quelle finestrelle erano una compagnia che c’era.

Piazza San Pietro c’era, non era un’illusione. Una presenza immensa e silenziosa. Se ci concentriamo sull’assenza dimentichiamo tutto quanto sta attorno, rendiamo invisibile ognuna di quelle pietre, la sua storia, ognuna di quelle persone, la sua storia. Una testimonianza, una storia che non si cancella.

Quello che udiamo, se tendiamo l’orecchio, non è silenzio; ci viene rivolta continuamente la parola, che possiamo scegliere di non udire; ma essa c’è, ci parla attraverso quei volti, quelle storie. Quel luogo ampio come il mondo, come chi ne fa parte.

Il posto dove si trovano le cose che ci fanno vivere, cioè vere.

Non ne ho un altro; non ne ho mai trovato un altro che spiegasse la vita così.

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