Quelli che non vedono la necessità delle chiese per pregare sono in fondo corretti.

Non c’è bisogno di una chiesa per pregare Dio, come non c’è bisogno di scarpe per camminare o di vestiti per andarsene in giro. Scarpe, vestiti e chiese sono superflui, e se ne può fare benissimo a meno. A pensare questo sono generalmente coloro che ne fanno già a meno: fachiri, nudisti ed intellettuali. Che un dato capo d’abbigliamento o un particolare edificio possa essere cancellato dalla faccia della terra senza particolari conseguenze è una convinzione che in generale hanno le persone che conoscono talmente bene l’umanità da sentirsi in grado di ricrearne una migliore. Hanno i loro segreti progetti su come dare a tutti la felicità, che di solito consiste nel fare in maniera che tutti la pensino esattamente come loro.

Tutto ciò che non rientra nei loro schemi si può eliminare. Tanto, a che serve? Ciò che non è utile, come i vecchi, le stelle o una stazione per chi non parte mai, che scompaia.
Chiese e conventi, in particolare, sembrano essere stati spesso oggetti di questo genere di attenzioni. Se di una struttura non si capisce l’utilità perché non demolirla? Ciò che non serve non può venire usato, ciò che non si usa diventa pericolante e quindi pericoloso. Ragionamento seguito da rivoluzionari inglesi, spagnoli, comunisti di varie latitudini. Gli italiani no. E’ per questo che negli altri paesi si va a visitare rovine e gusci vuoti, e qui si entra nelle cattedrali. Se le chiese davvero non servono, allora non si vede perché le funzioni sacre debbano aver luogo in posti come San Pietro, il duomo di Milano, o Santa Croce a Firenze. Meglio sarebbe un qualsiasi sgabuzzino, e via. O, addirittura, una di quelle chiese moderne che fanno sembrare gli sgabuzzini delle meraviglie architettoniche.

E perché poi, a questo punto, avere davanti una croce? Se è tutto nella mente e nel cuore, allora andrebbe bene anche una scatoletta di tonno. Però, fateci caso; entrare in una chiesa è differente dall’entrare in un’altra costruzione qualsiasi. Una reggia può essere altrettanto splendida, ma rimane un edificio. Un palazzo può contenere arte meravigliosa, ma rimane un mucchio di mattoni. La più umile chiesetta di campagna, invece, ha una grandezza con cui neppure Versailles può competere.

Il guaio di questi materialisti che esaltano lo spirituale è che non sono né materialisti né spirituali. Il cristianesimo è la religione più materialista che ci sia: afferma che Dio stesso si è fatto materia per poterci parlare dello spirito. Al contrario costoro considerano la materia nient’altro che materia, dimenticandosi che tutto ciò che amiamo è anche materia; amiamo con lo spirito, ma materia rimane. Togliete la materia dalla bistecca; non ne rimarrà che il profumo, e con quello non ci si sfama.

Togliete la materia dal cristianesimo e rimarrà una croce vuota, quindi inutile. Una croce vuota non redime; non è che uno strumento di tortura in attesa di utilizzo, il segno tracciato da analfabeti della vita.
E’ per questo che abbiamo bisogno delle chiese, come il piede delle scarpe.
Come potremmo anche andare in giro a piedi nudi, delle chiese se fosse necessario potremmo anche fare a meno. La scarpa fa camminare meglio, ma il nodo sta nel camminare.

Non è la scarpa che importa, è il suo contenuto carnale. Una scarpa vuota da sola non marcia, la si può gettare ai cani, è solo un guscio di cuoio o di gomma vagamente odoroso. Così è anche nel caso dell’edificio sacro. Non è l’edificio che rende sacro ciò che contiene, ma è il suo contenuto che rende sacro l’edificio. Non sono gli ori o i quadri o le statue che santificano San Pietro. Se è necessario, le scarpe e gli abiti possiamo anche toglierceli; sulla spiaggia o sotto la doccia ci andiamo nudi o quasi.

Scartate pure la buccia, ma vi prego, lasciateci il frutto. Buttate i muri, i dipinti, le statue, dateci il tabernacolo. Buttate pure il tabernacolo, dateci la pisside che contiene. Eliminate la pisside, e donateci quel pezzettino di pane che è Gesù. Questo tanti sembrano non capirlo, fuori e dentro la Chiesa. Se i sacerdoti sono solo impiegati, se la cattedrale è alla stregua di un ufficio, allora che stia pure chiusa e noi tutti a casa. Ma se lì c’è Cristo, ovvero ciò che davvero importa in questo mondo, allora posso fare anche a meno del resto, ma Lui dammelo, perché senza di Lui non c’è significato alle cose.

Se dobbiamo stargli lontano, devi darmi buone, buonissime ragioni; se pure ce ne fossero, se non cerchiamo con tutte le forze un modo per tornare a Lui, vuol dire che non ci teniamo veramente. Che le nostre parole sono di circostanza, il nostro affetto una finzione, il nostro dirci cristiani un’impostura.
Se ci preoccupiamo più delle librerie e delle scampagnate che delle messe, vuol dire che libri e picnic sono più importanti per noi dell’eternità. Quale pane e quale vino siano più salutari per la nostra vita è qualcosa su cui dovremmo riflettere, senza farci confondere da chi in essi vede solo pane, solo vino. Senza credere a chi non ha memoria, a chi non fa memoria.
Meno male che Lui ci salva comunque; se ci pentiamo, se ci ripensiamo, se ci rendiamo conto di cosa davvero importi. Se alziamo gli occhi dal nostro niente – fosse pure una chiesa.
Se anche le chiese sono chiuse, le Sue braccia sono sempre spalancate.

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