Salire su un treno e venire attaccati da un terrorista armato. È appena successo in Francia. L’autore dell’attentato è un uomo di origine marocchina, legato a una cellula terroristica belga, noto ai servizi segreti francesi e spagnoli, dicono i mass media, ed è salito sul treno con un kalashnikov di cui ha montato il caricatore chiuso in una toilette.

Domani può capitare anche in Italia su un Frecciarossa e magari su un tram, in un supermercato, in un ristorante, in un bar o in un cinematografo: bersagli casuali, scelti non per la loro rilevanza – come sarebbe nel caso di Expo 2015, di un ateneo, della redazione di un giornale, di una chiesa o di luoghi da colpire per uccidere delle personalità importanti o delle persone accusate di blasfemia come i giornalisti di Charlie-Hebdo a Parigi, lo scorso gennaio, o, nel 2004, ad Amsterdam, il regista Theo Van Gogh – ma per la facilità con cui vi si può accedere, aprire il fuoco o farsi saltare in aria.

In Nigeria, nel nord est, persino per andare a fare la spesa ormai bisogna sottoporsi a controlli di sicurezza. All’ingresso dei mercati ci sono dei posti di blocco dove dei volontari perquisiscono borse e pacchi. Non basta ancora. I jihadisti Boko Haram di attentati ne compiono di continuo e ne hanno messi a segno anche nei paesi vicini: Ciad, Niger e Camerun. Mandano a morire bambine e donne avvolte nel niqab, il velo islamico che lascia scoperti solo gli occhi, sotto il quale nascondono gli esplosivi (e sotto il quale potrebbe nascondersi anche un uomo).

I governi dei paesi minacciati da Boko Haram sono corsi ai ripari senza preoccuparsi delle possibili reazioni da parte della popolazione musulmana. Il presidente del Ciad, Idriss Déby, dopo gli attentati nella capitale N’djamena del 15 giugno, per primo ha disposto tra l’altro il bando in tutto il territorio nazionale del niqab e di qualsiasi altro tipo di abbigliamento che lasci scoperti solo gli occhi. Le forze di sicurezza hanno avuto ordine di sequestrare e bruciare tutti i veli integrali in commercio. Dal 18 giugno chi contravviene è arrestato e subito processato. Nei giorni successivi il Gabon e la Repubblica del Congo hanno a loro volta deciso di bandire il velo integrale. A metà luglio il Camerun lo ha proibito dapprima nella Provincia del Nord, più esposta agli attentati, e poi anche nella capitale Douala. A fine luglio lo stesso provvedimento è stato deciso dal Niger, per quel che riguarda la regione di Diffa. La Guinea Conakry sta discutendo se fare altrettanto.

L’Egitto, per parte sua, sull’esempio del Kuwait e dell’Arabia Saudita, ha annunciato pochi giorni or sono che verranno installate delle videocamere nelle moschee, a partire da quelle più importanti nelle città principali, per proteggerle da attacchi terroristici e inoltre per controllare che non vengano pronunciati dagli imam discorsi dai contenuti estremisti. Delle telecamere saranno piazzate anche per controllare edifici, strade e piazze ritenuti a rischio.

In Italia donne con il niqab si incontrano nelle stazioni ferroviarie e addirittura negli aeroporti e nessuno verifica che cosa dicono gli imam il venerdì ai fedeli: un bel rischio tenuto conto della consolidata presenza dei Fratelli Musulmani tra la popolazione islamica residente nel nostro paese e della facilità con cui i jihadisti possono entrare in Italia, mescolandosi, ad esempio, al flusso incessante di immigrati irregolari. L’Isis per di più ormai controlla territori vicini all’Italia, in Libia e in Tunisia, e partecipa al traffico di esseri umani nel Mediterraneo.  

La possibilità che si verifichino attentati jihadisti a treni, negozi, bar, mercati, scuole dipende molto da quali tattiche di guerra intendono adottare i gruppi islamisti affiliati ad Al Qaeda e all’Isis per combattere l’Occidente e i cristiani. Di jihadisti, immigrati e autoctoni, disposti a compiere attentati, anche suicidi, ce ne sono già e altri ne possono arrivare all’occorrenza. Nel caso, ci coglieranno di sorpresa e del tutto sprovveduti. 

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