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Il comunismo è uno spettro che si aggira ancora per l’Europa. Si è fatto troppo in fretta a liquidarlo come un “fenomeno del passato”: proprio come i diavoli, nega la sua esistenza (lo ha sempre fatto, usando una serie di artifici letterali come “socialismo reale” o addirittura “capitalismo di Stato”), nega di essere mai esistito, nega di esistere ancora, ridicolizza coloro che ne parlano, ma torna, torna, torna sempre, portando con sé sempre nuovi compagni di strada.

Il ritorno continuo del comunismo è una costante della sua storia. Sin dalle origini, quando in Russia si combatteva la guerra civile fra comunisti e anticomunisti (1917-1921), intere regioni e città che si erano ribellate e liberate dai rossi, ci sono finite di nuovo sotto. La stessa cosa la si è vista nella Seconda Guerra Mondiale, quando nazioni intere che si erano rese indipendenti dall’Urss sono finite di nuovo sotto Stalin. E in Cina, durante la sua lunghissima guerra civile fra comunisti e nazionalisti (1927-1949). In Corea del Nord, liberata per pochissimo tempo dalle truppe delle Nazioni Unite e poi finita subito dopo, di nuovo, sotto il tallone di Kim Il Sung. E in Vietnam, dove la presenza di un regime filo-occidentale nel Sud, è stata una breve parentesi bianca in mezzo al rosso dilagante.

In tutti questi casi storici notiamo un comportamento costante della popolazione soggetta a cambiamenti indesiderati: prima è paralizzata dallo shock della novità e non riesce a reagire; poi si esaspera per la durissima repressione del nuovo regime e trova la forza di ribellarsi, o di chiamare aiuto all’esterno; poi la gente liberata, incredibilmente si “stanca” subito della libertà, sopravvaluta le difficoltà del quotidiano e i difetti del liberatore, finendo per dimenticare quel trauma che ha vissuto fino a poco tempo prima. Ci si abitua all’idea che il comunismo non esista più e che le sue durezze precedenti fossero solo accidentali. Il ritorno dei rossi avviene quasi sempre senza colpo ferire, acclamato dalla massa. E a questo punto la ribellione diventa impossibile. Questo ciclo, nel corso delle guerre civili, durava, non anni, ma addirittura soltanto pochi mesi.

Perché tutto questo avvenga, non è compito mio spiegarlo. Occorrerebbe un ottimo studio di psicologia delle masse per capirlo. Il problema è che, con tutta evidenza, sta avvenendo ancora. Anche se sembra passato tanto tempo dalla caduta del Muro di Berlino e dall’implosione dell’Unione Sovietica, sono solo 25 anni. Fino a 25 anni fa, l’impero rosso era ancora in piedi, godeva di una forza militare schiacciante e dominava su miliardi di persone in un terzo del globo. Da 25 anni a questa parte, invece, sta arretrando.

C’è la possibilità che torni? Eccome. Per capirlo non si deve guardare tanto alla Cina (che ha un partito comunista di nome, ma non troppo di fatto), nemmeno alla misera Corea del Nord o alla Cuba ridotta a cartolina delle vacanze dei vecchi compagni. Il comunismo sta tornando dove meno ce lo aspettiamo. Dove? La butto lì, a mo’ di provocazione: nel popolo cattolico. Non solo e non tanto quello catto-comunista dichiarato, che è pur sempre una minoranza. Ma in quel popolo cattolico che non è mai stato comunista, o che era apertamente anti-comunista quando l’impero rosso era ancora in piedi.

Perché? Perché i segni sono ormai evidenti da tantissime parti. In America Latina, regimi come Venezuela, Nicaragua, Bolivia ed Ecuador mirano alla fusione perfetta, popolare, di cattolicesimo e comunismo. E’ un cattolicesimo distorto, che divinizza la guida politica (Chavez in Venezuela), punta alla salvezza in terra attraverso l’emancipazione delle masse dei poveri, divinizza terra e natura come e quanto i pagani e gli ecologisti radicali. E viene creduto e praticato dalle masse, anche se si scontra con la Chiesa “ufficiale”. Il tutto per fare cosa: per far tornare, pari pari, il vecchio sistema comunista, semplicemente con la falce e la croce invece che la vecchia falce e martello.

Ma non serve andar lontani, in terre esotiche, per trovare questo comunismo di ritorno nel popolo cattolico. Quante volte, nei movimenti, o nella vostra parrocchia, avete sentito demonizzare il capitalismo (il denaro, la finanza, il profitto, ecc…)? Quante volte la condanna di un vizio (superbia o avarizia) è diventata una condanna del sistema capitalista in quanto tale, ritenuto “causa” di quel peccato? Quante volte senti un cattolico che parla disinvoltamente dei “poteri forti finanziari”, rei di “manipolare la democrazia” a loro vantaggio? O addirittura di “finta democrazia” che maschera “interessi occulti”? Ebbene, tutta questa è pura propaganda comunista. Il cattolico sa (dovrebbe sapere) che è il peccato l’origine del male, non è certo la società che fa l’uomo peccatore. E nessun manipolatore, vero o presunto, occulto o palese, può manipolare il libero arbitrio. Anche questo, un cattolico, dovrebbe saperlo.

La propaganda comunista si è infiltrata nel cattolicesimo usando la solita tattica: nega di esistere. Quando cogli in fallo un cattolico che fa discorsi da agit-prop dell’anticapitalismo e gli dai provocatoriamente del “comunista”, si offende. Ma non solo si offende: ti ride in faccia, dicendoti che il comunismo non esiste più. Anzi, non è mai esistito. Fateci caso: la risposta è sempre quella.

Quel cattolico che ti ridicolizza, quando gli parli di comunismo, ti dice che ormai il nemico è ben altro. Quale? Ma ovviamente: il consumismo, il materialismo (quello del mercato, non quello di Marx), il dominio finanziario, l’imperialismo americano. Cioè tutti i babau creati, nei decenni, dalla propaganda marxista-leninista. Il cattolico non si rende conto di parlare col linguaggio del suo nemico, portando acqua al suo mulino, quando, per esempio, accusa il libero mercato (e non il socialismo) per la distruzione della famiglia. O quando accusa le banche (e non lo Stato) per la sua perdita di libertà. Quello stesso cattolico è anche, spesso e volentieri, un fan di Vladimir Putin. Un ex colonnello del Kgb che non nasconde neppure la sua nostalgia per l’Unione Sovietica, circondandosi di feticci del passato: statue di Lenin, quadri di Stalin, stelle rosse e falci e martello, il tutto rivestito in una nuova quanto falsissima veste “cristiana” e “tradizionale”.

Se il comunismo tornasse per davvero, passando per la porta dei cattolici, sarebbe il capolavoro di un’ideologia vecchia e morente. Ma purtroppo stiamo assistendo al solito ciclo: il popolo cattolico, liberatosi dalle catene dell’impero rosso, si è già stancato della sua libertà e soprattutto inizia a odiare i suoi liberatori. Ha dimenticato, di già, dopo appena 25 anni, le durezze del passato regime. E quando questo tornerà (se tornerà) è pronto ad applaudirlo. Ribellarsi, a quel punto, sarà quasi impossibile.

 

1 commento

  1. Superlativo: da farne manifesti da appendere sulle porte delle parrocchie come un “j’accuse”. Ancora non mi sono ripresa dallo choc provocato dalla pubblicazione degli articoli di quel ciarlatano di Diego Fusaro su Tempi.

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