Il Giro parte da Gerusalemme e fioccano le polemiche. Che cosa si nasconde dietro tanto accanimento? Non c’entrano né lo sport, né la politica, né l’economia, ma solo l’odio ideologico contro Israele. Ovvero, il problema – udite, udite – è “teologico”. Ecco spiegato il perché.

Il Giro d’Italia è partito da Israele. E uno si può chiedere come mai il Giro d’Italia parta da un paese che non è l’Italia e non è neppure confinante con noi. E’ una domanda legittima che, in questi giorni, non ha mai trovato risposte convincenti. Si può essere d’accordo o meno con questa scelta. Ci sono sempre stati gran dibattiti sull’organizzazione degli eventi sportivi, ma sono finora rimasti confinati agli addetti ai lavori, alla stampa di settore, ai bar di paese, alle discussioni fra colleghi. Ma mai come questa volta si è assistito a un’ondata di odio, sui social network e nei media tradizionali. Se il Giro fosse partito, ad esempio, dalla Groenlandia, con difficoltà logistiche ancora peggiori, non avremmo udito altrettante proteste.

In realtà la rabbia riguarda Israele, perché è Israele. I commentatori più soft ritengono che sia “un paese controverso”. Ma anche qui: in quanti paesi “controversi” si sono svolti grandi eventi sportivi? Il Mondiale di calcio dell’estate prossima si terrà in Russia: due guerre a bassa intensità ancora in corso (Caucaso settentrionale e Ucraina) riguardano direttamente la Russia. Eppure la Russia non è considerata tanto “controversa” quanto lo è Israele. E per i Mondiali che si terranno nel grande paese dell’Est europeo non si assiste neppure a una frazione della protesta collettiva che si è scatenata per il piccolo paese mediorientale chiamato Israele. E ancora non abbiamo parlato dei prossimi Mondiali che si terranno in Qatar… In questi giorni, sia nei grandi media che nelle piazze (come quella del 25 aprile a Milano) abbiamo avuto modo di sentire le ragioni della “vergogna”: Israele, così dicono i suoi ferventi accusatori, ghettizza il popolo palestinese chiudendolo dietro a un muro, applica un regime di apartheid sui palestinesi, spara sulla folla che protesta, usa le armi chimiche a Gaza, tortura anche i bambini, avvelena i pozzi e i corsi d’acqua in Palestina, da più di mezzo secolo occupa manu militari i territori appartenenti ad altri popoli. E, sentito tutto ciò, l’uomo della strada sarebbe indotto a imbracciare il fucile e andare a combattere contro Israele.

Eppure, basta fare una piccolissima ricerca per smentire tutti questi luoghi comuni. Israele non usa armi chimiche. Non tortura i bambini (non applica neppure la pena di morte agli adulti). Non spara “sulla folla” che protesta: a Gaza coloro che sono stati uccisi, nelle scorse settimane, erano quasi tutti miliziani armati di un movimento terrorista islamico, chiamato Hamas (è considerato ufficialmente come terrorista, senza virgolette, anche dall’Italia). Le vittime collaterali, innocenti, in questa vicenda, come in tutti i fatti d’arme, ci sono state, ma sono molto poche. Non sono mai stati avvelenati pozzi o corsi d’acqua. Non c’è alcuna ghettizzazione del popolo palestinese: quel muro serve per difendere le città israeliane, non a rinchiudervi la gente. Al di là del muro, infatti, si può ricominciare a circolare liberamente. Non c’è alcun apartheid: gli stessi arabi, se vivono al di qua del confine e hanno passaporto israeliano, hanno pari diritti di tutti gli altri israeliani. E’ dunque un problema di cittadinanza, non etnico-razziale. Gaza non è un ghetto creato da Israele: anche il confine con l’Egitto è chiuso. E lo è perché a Gaza è salito al potere, con un golpe armato, il movimento terrorista islamico di cui sopra: Hamas.

Se una città venisse governata da Al Qaeda o dall’Isis, che condividono la stessa identica ideologia di Hamas, ammettereste che anche i paesi vicini possano chiudere la frontiera, o no? O devono rischiare di subire infiltrazioni, rapimenti, attentati, lanci di razzi (cose che Hamas fa, continuamente, tutti i mesi dell’anno, tutte le settimane del mese)? Ma infine, il problema dei problemi: non ci sono territori “occupati”, non più, da un pezzo. L’occupazione in Cisgiordania e a Gaza è finita nel 1994, quando è nata l’Autorità Palestinese, completamente autonoma nella gestione interna dei territori. Gaza è stata anche definitivamente sgomberata da insediamenti israeliani e basi militari, a partire dal 2005. Quindi tutto ciò che viene solitamente rinfacciato a Israele è falso. Grossolanamente falso.

C’è da chiedersi, dunque, come mai tanto accanimento. Nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, quando nacque Israele, i cambiamenti di confine, così come gli spostamenti più o meno coatti di intere popolazioni, furono frequentissimi. Eppure solo su quel confine nel Medio Oriente si continua a puntare il riflettore dell’opinione pubblica mondiale. Ci sono tantissimi Stati coinvolti in conflitti. Ma quel conflitto fa più notizia di tutti gli altri, benché non sia il più sanguinoso. La sola guerra civile siriana, per fare un esempio vicino, ha provocato circa il doppio dei morti di tutte le guerre arabo-israeliane messe assieme. Il doppio. Di tutte le guerre mediorientali. In soli sette anni. Vi rendete conto delle proporzioni? Eppure la questione di Israele e Palestina è considerata ancora come il problema dei problemi nel Medio Oriente e in tutto il mondo arabo-islamico, ogni suo singolo episodio provoca reazioni violente da Londra a Jakarta.

Fa impressione, soprattutto considerando che Israele è uno Stato piccolo, le sue dimensioni non superano quelle della Sicilia, una singola regione italiana. E’ uno Stato limitato anche come popolazione, circa quanto quella della Lombardia. Ed è uno Stato quasi del tutto privo di risorse naturali. Quando sentite che è una “guerra per il petrolio”, sentite una ennesima clamorosa bufala: non c’è petrolio in Israele, non ci sono neppure oleodotti che passano attraverso il suo territorio, da quella posizione non si controlla un bel niente, perché è lontana sia dalle aree di estrazione, sia dalle principali rotte del commercio petrolifero. Basta prendere una cartina per constatarlo. Israele ha grandi giacimenti di gas, ma sono stati scoperti solo nell’ultimo decennio. A meno di non sospettare che qualcuno fosse dotato di una sfera di cristallo, il gas non ha provocato una guerra che sta durando da settant’anni.

E quindi? Israele è abitato e governato da ebrei. E’ uno Stato ebraico. E’ questo l’unico vero suo “problema”. Alla domanda “gli ebrei hanno diritto ad avere una loro nazione indipendente e sovrana?” il movimento sionista risponde “sì”. E su quella convinzione è nato Israele, dopo mezzo secolo di gestazione. Questo Stato è riconosciuto diplomaticamente anche dall’Italia, dal Vaticano (dal 1994), così come dalla stragrande maggioranza delle nazioni del mondo. Non dagli Stati arabi e da buona parte di quelli musulmani, che non ne hanno mai accettato l’esistenza. Ma sono una minoranza, nel mondo. Ma se questo è lo stato del riconoscimento formale, da un punto di vista ideologico, sono molti di più coloro che non ne accettano l’esistenza. Coloro, cioè, che alla domanda “gli ebrei hanno diritto ad avere una loro nazione indipendente e sovrana?” rispondono con un sonoro “no”. Al giorno d’oggi sono soprattutto i musulmani che rifiutano l’esistenza di Israele, anche ufficialmente. E lo fanno perché quella terra, per più di mille anni, è stata Dar al Islam, la terra dell’Islam, prima sotto l’impero arabo, poi sotto quello ottomano. Come è noto, l’Islam non rinuncia mai alle terre che ha conquistato storicamente. Non rinuncerebbe neppure alla Sicilia e alla Spagna (ma non ci prova a riconquistarle per ovvi motivi di rapporti di forza con l’Europa e la Nato), a maggior ragione non rinuncia a una piccola terra, storicamente molto importante anche per l’Islam, circondata da paesi musulmani.

Ma queste ragioni dell’odio, del mancato riconoscimento dell’esistenza di Israele, sono valide e comprensibili solo all’interno di una logica islamica. Sono estranee alla cultura occidentale. Allora come si spiega l’odio per Israele in paesi occidentali, come anche nel nostro? Oggigiorno sono molto rari i cristiani che non accettano uno Stato ebraico. Quando lo fanno, è soprattutto perché sono ortodossi mediorientali, o cattolici che appartengono alle chiese di rito orientale, diffuse nel Medio Oriente: prima di tutto perché sono arabi e, anche storicamente, si identificano nella causa nazionale araba contro lo Stato ebraico. E i cristiani occidentali che non accettano l’esistenza dello Stato ebraico, allora? Gratti pochi millimetri la scorza del sedicente “tradizionalista” che parla contro gli ebrei, il giudaismo e Israele e trovi un nazista. Gratti ancor meno millimetri la scorza del sedicente “cristiano impegnato” che parla contro il sionismo e il presunto imperialismo di Israele e trovi un comunista. L’odio occidentale contro gli ebrei e contro il progetto sionista è perfettamente sovrapponibile. E deriva, nel 99% dei casi, non da motivi teologici, ma ideologici.

I nazisti e i loro derivati odiano Israele, il sionismo e in generale il popolo ebraico, perché è dall’ebraismo che nasce la morale tradizionale giudaico (appunto) cristiana che caratterizza la civiltà europea da quasi duemila anni. Il nazismo si fonda su presupposti opposti alla morale giudaico-cristiana: come questa protegge tutti, anche i deboli, il nazismo si fonda sulla selezione naturale, sulla libertà del forte di dominare. I comunisti odiano gli ebrei e poi Israele sempre perché sono all’origine della morale giudaico-cristiana, a cui oppongono il loro ateismo. C’è stato un solo momento di innamoramento dei comunisti per gli ebrei. Ed è, appunto, la nascita dello Stato di Israele, che inizialmente era socialista. Ma l’idillio è durato poco, perché quando Israele si è alleato con gli Usa e ha gradualmente dismesso il suo socialismo, allora è tornato il solito vecchio odio contro gli ebrei, gli stra-borghesi. E da qui anche tutte le solite leggende nere contro gli ebrei, ritirate fuori dalla naftalina e adattate all’ideologia comunista: quindi gli ebrei che “controllano la finanza mondiale”, “controllano le multinazionali”, “controllano i media”, da oggi “controllano anche lo sport”, incluso il Giro d’Italia.

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