Ho deciso di fare da me, stanca della retorica del «non troverete mai un lavoro», o «non andrete mai in pensione»; ed avvilita da un’estenuante quanto vana ricerca di qualcuno, di un articolo, di un’intervista o di qualunque parola di incoraggiamento che non cerchi soltanto di ricordare ai giovani italiani che il loro sogno di trovare un lavoro capace di soddisfare le loro aspettative sarà un’impresa infruttuosa e deludente.

Insomma, che la situazione sia critica l’abbiamo capito.

Mi piacerebbe però focalizzare l’attenzione, per una volta, non sulle prospettive che ci saranno precluse, ma sul cosa possiamo effettivamente fare per realizzare noi stessi nonostante tutto. Quel tutto così minaccioso che incombe sulle nostre teste, con i suoi vicoli ciechi e le strade chiuse per lavori, che trasmissioni televisive, giornali, media (e, in generale, le persone che si considerano, in un certo senso, “già arrivate”) ci tengono tanto a ricordarci, cantilenando, ripetitivi, che sarà difficile e avremo da sudare per poi magari non raggiungere ciò che veramente avremmo desiderato. Talvolta sembra quasi che il messaggio che vuol essere passato urli a gran voce: «Giovani, arrendetevi».

Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est, diceva il buon Seneca. Quando non sai che strada prendere, non aspettarti nessuna forza in tuo favore: non c’è vento favorevole per un marinaio che non sa dove andare. Come sarebbe a dire che non c’è vento favorevole? Che destino infame. La colpa, però, è del marinaio. Bisogna credere che le occasioni nella vita ci siano, ci sono sempre, ma non per chi non sa ciò che vuole. E non sarà di nessun aiuto lasciarsi irretire dal canto delle sirene; lo si può stare ad ascoltare, questo è certo, ma restando ben legati all’albero del nostro vascello e proseguire: continuare a cercare, imboccare la strada che nessuno si sarebbe mai aspettato, e provarci, accompagnati da quei venti che non sempre ci saranno favorevoli e che ci sospingeranno a loro capriccio da tutt’altra parte. L’importante è non arenarsi.

E’ meglio avere un obiettivo e muoversi per raggiungerlo, disposti ad affrontare mari in burrasca e venti tremendi, piuttosto che rimanere fermi.

Non puoi immergere il piede due volte nella stessa acqua del fiume, tutto scorre, tutta la vita è in movimento. Se un suono è durevole non lo si percepisce più, se la mano è appoggiata immobile su qualcosa, dopo un po’ non sentiremo più alcuna sensazione. Il movimento è necessario alla percezione. Una percezione che la società alla quale apparteniamo, decisamente, limita, abituata com’è a pensare in termini di cose immutabili, perché ci danno più sicurezza. 

Osservando un arrampicatore esperto la prima cosa che si nota è come egli sia sempre in movimento, spostandosi continuamente sui piedi, anche se di poco. E’ con il “vedere” la roccia che inizia il gioco dell’arrampicata, ancora prima di toccare la parete. Vedere la roccia significa comprendere il percorso e i passaggi ancora prima di salire. Gli occhi ci forniscono il materiale grezzo, sta a noi prendere questo materiale e trasformarlo nella nostra visione. Quando entrano in scena emozioni come il timore o la preoccupazione, infettate da statistiche e numeri sempre meno attendibili, la nostra mente ne soffre e di conseguenza anche il corpo e la vista.

Il mondo è pieno di oggetti, ma la nostra attenzione si rivolge soltanto ad alcuni di essi. Di questi, normalmente, viene isolato ciò che “interessa”, mentre tutto il resto, semplicemente, non viene percepito. A volte, però, quando guardiamo il quadro di un artista con il quale abbiamo una certa familiarità, notiamo delle cose che prima non avevamo visto.

Noi stessi dobbiamo divenire artisti, elaborare quella capacità di cogliere proprio quelle cose che sfuggono all’interesse comune. Bisogna saper cambiare punto di vista e smettere di lottare con la roccia, ma rendercela amica e crearci della stessa una visione tutta nostra, entrare in comunione con i suoi spuntoni e le sue rientranze, respirarla e infine viverla, rendendoci rispetto ad essa elementi distinti di un’unica dimensione. Il nostro percorso probabilmente sarà più articolato di chi ci ha preceduto, la parete è ormai consumata o più friabile in certi punti, ma questo non vuol dire che non ci porterà da nessuna parte.

Poi, come andrà, dipende dalla nostra abilità di sfruttare i venti buoni e di non lasciarci affondare da quelli negativi. Ma sapremo comunque di esserci mossi nella nostra direzione, avremo avuto il timone inmano e avremo dato tutto quanto fosse stato in nostro potere. Nessun rimpianto, per chi sa dove andare.

 

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