Più di metà degli italiani, circa il 55%, mangiano occasionalmente prodotti alimentari scaduti: per distrazione e per scarsa conoscenza delle informazioni riportate sulle etichette. A lanciare l’allarme è stata di recente la Coldiretti. Ma verrebbe da dire “per fortuna”, nel caso di prodotti ancora commestibili benché scaduti. Per fortuna perché si tratta di cibo ancora buono, che se no andrebbe sprecato.

Quello del cibo buttato via perché scaduto, eccedente o andato a male è un fenomeno che tutti deplorano, ma a cui tutti, in qualche misura contribuiscono. Lo deplorano pensando alle centinaia di milioni di persone che non si nutrono a sufficienza mentre in tutto il mondo i negozianti sono costretti a togliere dagli scaffali prodotti scaduti e in milioni di case si gettano via avanzi e scarti; e c’è poi il danno dell’inutile dispendio di energia per produrre alimenti in eccesso e dell’inquinamento provocato dalla produzione e poi dallo smaltimento dei generi alimentari inutilizzati.

Quello che fino a pochi anni fa si ignorava è l’entità effettiva del fenomeno. Poi, nel 2010, la Fao ha incaricato l’Istituto svedese per l’alimentazione e la biotecnologia di Goteborg di effettuare una ricerca sullo spreco di cibo a livello mondiale. Si stenta a credere ai risultati. Ogni anno circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano va sprecato: 1,3 miliardi di tonnellate di derrate, perse in una delle fasi che costituiscono la catena alimentare, dalla coltivazione (e allevamento) al consumo.

I ricercatori hanno distinto nella catena alimentare cinque fasi: la produzione agricola, l’insieme costituito da raccolto, trasporto e  immagazzinamento, la lavorazione, la distribuzione e il consumo. Quindi hanno classificato come “perdita di cibo” tutto ciò che di commestibile va perduto durante la produzione, il raccolto, le fasi immediatamente successive al raccolto e la lavorazione, e come “spreco di cibo” gli alimenti gettati via nella fase della vendita al dettaglio e durante gli stadi finali del consumo, a causa delle scelte e dei comportamenti di commercianti e consumatori

Inoltre i ricercatori hanno individuato nove aree geografiche, calcolando per ciascuna perdite e sprechi.

È grazie ai dati disaggregati per area geografica che è emersa una realtà del tutto inaspettata. Sembrerebbe ovvio che quello del cibo per qualche ragione sciupato – sia esso perso o sprecato – fosse un fenomeno che si verifica solo o quasi unicamente nei paesi industrializzati, nei quali il cibo abbonda e la produzione alimentare è tale da superare talvolta la domanda. Invece succede in tutto il mondo, anche nei paesi in via di sviluppo. Il totale di 1,3 miliardi di tonnellate è così ripartito: circa 670 milioni di tonnellate dissipate nei paesi industrializzati e 630 milioni nei paesi in via di sviluppo.

Diversa, però, è l’incidenza di perdite e sprechi. Nei paesi industrializzati gli sprechi, nel corso della commercializzazione e dopo l’acquisto da parte dei consumatori, incidono per il 60% e le perdite, nelle fasi precedenti, per il 40%. Viceversa nei paesi in via di sviluppo le perdite, dalla produzione alla lavorazione, ammontano al 60% e gli sprechi, imputabili al commercio al dettaglio e al consumo finale, contano per il 40%.

Nei paesi industrializzati si verificano perdite quando la produzione supera la domanda: i raccolti eccedenti vengono distrutti oppure venduti come cibo per animali. Un altro fattore che determina perdite è dato dagli standard di qualità: i prodotti che non li soddisfano – per peso, dimensione, forma o perché durante la lavorazione e il trasporto hanno subito danni – non raggiungono i mercati. Quanto agli sprechi, le date di scadenza comportano scarti rilevanti. Inoltre spesso si acquista cibo in quantità e varietà superiori al fabbisogno effettivo: cibo che poi finisce nella pattumiera.

Al contrario, nei paesi in via di sviluppo larghi strati di popolazione non si possono permettere di buttare via niente, tanto meno il cibo. Ne acquistano piccole quantità, stretto necessario per il consumo quotidiano. Eppure, come si è visto, oltre un terzo del cibo si spreca nelle fasi del commercio al dettaglio e del consumo finale: in gran parte, ma non solo, per mancanza di efficienti sistemi di conservazione sia nei negozi e nei mercati che nelle abitazioni. Quanto alle perdite nelle prime fasi della catena alimentare, molte sono le cause: impiego di tecnologie inadeguate, durante la produzione e lavorazione dei prodotti, scarsità di insetticidi e concimi, di silo, granai e magazzini in grado di proteggere i raccolti da insetti, parassiti e agenti atmosferici, infrastrutture  – strade, ferrovie… – inadeguate, che non consentono un rapido e regolare trasporto dei generi alimentari, difetti, sempre per mancanza di tecnologie moderne, nella confezione e nell’imballaggio, che ne compromettono la conservazione.

È stato calcolato che un quarto del cibo sprecato basterebbe a sfamare gli oltre 800 milioni di persone denutrite che vivono quasi tutte nei paesi in via di sviluppo. 

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