In più di 100 anni il marxismo non è riuscito a eliminare la presenza visibile del Cristianesimo nella sfera pubblica. Ora, in Baviera, il cardinale Marx si è schierato contro l’esposizione del crocefisso nei luoghi istituzionali. In nome di una Chiesa spirituale e francescana? Tutt’altro.                          

C’è stata polemica in Germania per la decisione del presidente della Baviera, il cristiano-sociale Markus Söder, di far appendere i crocifissi nei luoghi pubblici del Land. Ma, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, le critiche non sono giunte soltanto dallo schieramento laicista ma anche da Reinhard Marx, cardinale arcivescovo di Monaco e presidente della Conferenza episcopale tedesca. In una intervista al Süddeutsche Zeitung Marx ha ricordato che «se la croce viene vista soltanto come un simbolo culturale, non la si è capita. Se così fosse, la croce verrebbe espropriata in nome dello Stato». La croce, afferma in sostanza il cardinale Marx, non può essere simbolo di divisione né va innalzata contro qualcuno. La croce è una provocazione per tutti («un segno di protesta contro la violenza, l’ingiustizia, il peccato e la morte, ma non un segno contro altre persone») prima di essere un simbolo identitario. Non spetta inoltre allo stato definirne il significato e stabilire chi e cosa sia cristiano. Il cardinale lamenta inoltre la mancanza di un dibattito nella società precedente al provvedimento di Söder.

Non tutti la pensano come lui. Ad esempio l’iniziativa bavarese ha riscosso l’approvazione del cardinale Gerhard Müller, l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

Naturalmente il cardinale Marx non ha tutti i torti. La Chiesa insegna a diffidare della teologia politica, mette in guardia cioè da quello sfruttamento dei simboli religiosi che mira a legittimare e a esaltare un ordine politico terreno. Come accadeva negli imperi pagani, nei quali glì dèi rispecchiavano semplicemente la gloria e la potenza mondane dell’impero. I cristiani videro in questo uso pubblico della religione una forma di idolatria.

Si capisce allora che non c’è nulla di peggio che ritagliarsi un idolo dal legno della croce di Cristo. Lo spirituale non può essere sottomesso al temporale, risultandone parassitato. Con questo spirito antidolatrico era insorto il beato Pier Giorgio Frassati contro la teologia politica di Benito Mussolini, «che disfa le Opere pie, che non mette un freno ai fascisti e lascia uccidere i Ministri di Dio come Don Minzoni ecc. e lascia che si facciano altre por­cherie e cerca di coprire questi misfatti col mettere il Crocifisso nelle Scuole». Desacralizzare le potenze terrene. È questa, da sempre, la missione del profeta.

Eppure in questa vicenda qualcosa stona. Perché un conto è affermare il primato dello spirituale, un altro sarebbe opporsi all’esposizione del crocifisso nei locali pubblici per spirito di mondanità, ad esempio per compiacere la tavola di valori del politicamente corretto e il laicismo di chi vuole escludere Cristo dalla vita sociale.

Ebbene, tutto si può dire della chiesa tedesca tranne che sia una chiesa “profetica” o “francescana”. Essa appare, giusto all’opposto, come l’emblema dell’istituzionalismo eccesiastico. Una burocratica Apparat-Kirche (chiesa-apparato) funzionarizzata e autoreferenziale, un colosso che può contare su un esercito di 100 mila impiegati nelle varie attività di supporto delle diocesi. Si tratta di una chiesa ricca, molto ricca. Forse troppo. È un tema molto sentito in Germania, alimentato anche da scandali mediatici come quello che ha portato alle dimissioni del vescovo di Limburg Franz-Peter Tebartz-van Elst, arrivato a spendere 31 milioni di euro per la costruzione di un centro diocesano (un costo sei volte superiore a quello previsto inizialmente).

C’è poi il nodo spinoso della Kirchensteuer, la tassa ecclesiale che ogni iscritto nei registri della chiesa tedesca deve versare annualmente con un modulo simile al nostro 730, pena l’esclusione dai sacramenti (come se la chiesa fosse una dispensatrice di servizi e funzioni religiose).

Secondo alcuni calcoli del 2013, la chiesa tedesca può fare assegnamento su un patrimonio che si aggira sui 200 miliardi di euro (nel 2001 altre stime attestavano una cifra attorno ai 270 miliardi). Inoltre possiede proprietà per 8250 km², che fanno della chiesa tedesca il più grande proprietario terriero privato in Germania.

Alla potenza istituzionale la chiesa tedesca accompagna com’è noto una grande disinvoltura teologica. La Germania è uno di quei paesi in cui un forte schieramento progressista insegue la tendenze riformiste del protestantesimo sul terreno di una certa modernità. Ma la potenza istituzionale e l’aperturismo dottrinale non devono ingannare. Il cattolicesimo tedesco è da tempo sprofondato in una crisi molto pesante.

La secolarizzazione in Germania avanza al galoppo senza mostrare segni di una qualche inversione di tendenza. In meno di dieci anni, dal 1980 al 1989, il numero dei cristiani in Germania (cattolici e protestanti) ha avuto un calo del 6%. Dal 90 per cento (47% cattolici e 42% cento protestanti) sono passati all’84%. Con l’unificazione del 1991 la percentuale è ulteriormente discesa fino al 72% (anche a causa dell’imponente secolarizzazione dell’ex DDR). Il 2005 ha fatto registrare un altro calo di proporzioni drammatiche, coi cristiani al 62%. In 25 anni, dal 1980 al 2005, quasi otto milioni di persone hanno abbandonato le chiese cattolica e protestante, con un tasso di abbandono pressoché identico per le due chiese.

E non si può nemmeno dire che i fedeli rimasti siano i più impegnati o i più convinti. Meno del cinque per cento dei fedeli protestanti frequenta le funzioni religiose e i cattolici che si recano alla messa domenicali sono scesi dal 28 per cento del 1980 a meno del 15 per cento nel 2005. Anche il numero dei sacerdoti è in picchiata. Tre anni fa erano 14.087, oggi sono 13.856, dei quali solo 8.786 in attività. Un calo al tempo stesso quantitativo e qualitativo, dunque.

Se c’è una tentazione per la chiesa tedesca è la fede nella forza delle proprie strutture, dove a contare è più lo spirito organizzativo che non lo spirito santo. I rischi sono evidenti, primo fra tutti quello di incubare una forma mentis mondana, intrisa di un umanesimo tutto orizzontale incline a spiegare ogni fatto senza il minimo ricorso alla “terza dimensione” della storia, vale a dire quella spirituale.

Difficile pensare all’ispirazione profetica, e non alla volontà di scatenare una polemica politica, quando solo tre anni prima lo stesso cardinale Marx aveva auspicato la permanenza dei crocefissi nelle scuole e nei tribunali. Peraltro sempre Marx nel 2016 era stato al centro di una aspra polemica su questi temi quando per “rispetto” aveva nascosto la croce pettorale a Gerusalemme, durante la salita al Monte del Tempio e la visita al Muro del Pianto.

Nessuno auspica una chiesa solo pneumatica, una specie di chiesa angelicata come quella vagheggiata da tante correnti ereticali, inesorabilmente votata alla perdita di ogni autonomia nei confronti dei poteri mondani. Ma non appare certo più evangelica di una chiesa disincarnata una chiesa carnale, dipendente da puntelli umani, troppo umani, sempre a rischio di confondersi con lo spirito del secolo pur di salvaguardare la propria sicurezza terrena. Il rischio, in questo secondo caso, è di elevare l’uomo a “misura di tutte le cose” (come il fariseo della parabola, intento a ringraziare Dio per non essere come il pubblicano). Il trionfalismo, la sensazione di essere vincenti, l’impermeabilità ad ogni critica nascono da questa eccessiva fiducia nelle facoltà umane. La speranza cristiana, scrive papa Francesco in un penetrante opuscolo sulla differenza tra peccato e corruzione, degenera così in «mondanità spirituale», la quale «non è altro che il trionfo che confida nel trionfalismo della capacità umana; l’umanesimo pagano adattato a buon senso cristiano». Un eccesso di perfezione nell’ordine terreno rischia di portare la creatura all’oblio del Creatore, un eccesso di sfiducia in quello stesso ordine condanna le opere umane a un’irrilevanza spiritualistica.

L’et-et cattolico consiste nel tenere assieme in un prodigioso equilibrio il cielo e la terra, la fiducia nella provvidenza divina e la necessità dell’impegno umano. Certo, lo spontaneismo dalle venature romantiche non fa parte del realismo cattolico, che ha sempre avuto ben chiaro che la Chiesa necessita di avere strutture funzionanti. Ma questo stesso realismo cattolico professa anche la fede nella Provvidenza, la quale ci dice che la Chiesa non può nemmeno essere dipendente dalle sue strutture.

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